Dalla “città-fortezza” alla nascita dei quartieri dell’abitato di Troina

L’antica toponomastica “intra-moenia”, legata ai nomi di luogo presenti all’interno dell’abitato di Troina, fa riferimento principalmente alle antiche porte di accesso della città, ad alcuni quartieri ed a luoghi o edifici di culto presenti nell’ambito dell’antico abitato, quello che oggi viene definito “centro storico”.

Se nella toponomastica presente nelle campagne emergono evidenti tracce di famiglie attestate a Troina per tutto il periodo medievale, all’interno del centro abitato, invece, si possono riscontrare una serie di vie e vicoli dedicati a famiglie in auge dalla fine del ‘400 e presenti per tutta l’Età moderna, qualcuna giunta fino ai nostri giorni.

La toponomastica più antica corrisponde ai nomi di luogo inseriti nell’ambito dei quattro quartieri più importanti di Troina, nei quali è stato suddiviso il paese a partire dall’Età moderna: la “Piazza”, “Scalforio”, “San Basilio”, il “Borgo”; nuclei abitativi che raccolgono a loro volta una serie di micro quartieri.

L’antico impianto urbanistico di Troina ricalca quello medievale della cittadella fortificata, che si sviluppa lungo un solo asse viario ad andamento curvilineo, l’attuale via Conte Ruggero, cui afferiscono brevi diramazioni tortuose (vicoli, slarghi, scalette, rampe e sottopassaggi ad arco), irregolari ed in ripida pendenza, seguendo l’andamento orografico di cresta.

All’interno dei quartieri più antichi risulta caratteristico il tracciato viario, il quale si presenta sinuoso, non ortogonale, spesso labirintico, con diversi vicoli ciechi; peculiarità questa delle città meridionali, dove le strade si distinguono in due tipologie essenziali: quelle di scorrimento e quelle che conducono alle abitazioni dove vivevano le famiglie in gruppi, legate da vincoli di parentela o di alleanza.

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La “città-fortezza” risulta documentata fin dai tempi di re Ruggero grazie ad Edrisi che, nella compilazione di una minuziosa geografia della Sicilia del XII secolo, riporta come “Targinis è castello del tutto simile ad una città, dimora ambita e fortilizio che domina ai margini di una serie di seminativi e terreni coltivabili”. La fortezza, in quanto tale, possedeva degli accessi la cui tradizione fa riferimento alla presenza di antiche porte o ingressi al castello: «era cu quattru porti architettatu», così come riporta una “intrallazazata” sulla vita del patrono San Silvestro Monaco. Attraverso la documentazione d’archivio, invece, è possibile evincere anche i nomi e l’ubicazione di tali porte, in effetti più di quattro: “porta del Baglio”, “porta del Guardiano”, “porta di Ramo”, “porta Cozzanite”, “porta Velia”.

La tradizione orale giunta fino ai nostri giorni riporta solamente il nome di due ingressi, “porta di Bagghiu” e “porta di Ramu”, si ritiene le più importanti, ubicate all’estremità della fortificazione, rispettivamente a nord-ovest ed a sud-ovest.

Non è improbabile che qualcuna delle porte sopra menzionate fungesse anche da “postièrla” o “posterla”, dal latino tardo “posterula” = porticina nascosta, poiché nella toponomastica ritroviamo una località, denominata “Posterna”, ricordata oggi dall’omonima via, ubicata appena più a valle dell’originaria fortificazione, la quale doveva presentarsi come una piccola porta, realizzata in un luogo appartato e distante dagli accessi principali, al fine di assicurare una via di comunicazione fra l’interno e l’esterno della cinta muraria in circostanze particolari, quali poteva essere un assedio.

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In pieno medioevo le città di Sicilia erano abitate da gente di varia nazionalità e, spesso, di differente religione. Un documento del 1168, redatto a Catania, riferisce di “Latini”, “Greci”, “Iudei” e “Saraceni”, i quali nell’ambito delle città avevano propri quartieri e propri luoghi di culto, proprio clero e propri ordinamenti. Mentre i “latini” rappresentano i nuovi arrivati, costituiti da Normanni, Franchi, Lombardi e Longobardi, i “greci-bizantini” risultano preesistenti alla conquista araba e ritrovati dai Normanni, non solo nelle città ma anche nelle campagne; essi possiedono chiese dedicate il più delle volte a San Nicolò o a Sant’Andrea. Accanto alle predette popolazioni cristiane, latine e greche, vi era anche quella musulmana, la quale abitava in prevalenza in alcuni casali denominati “Saraceni”.

Aumenti demografici porteranno, poco alla volta, alla nascita di piccoli nuclei abitati che graviteranno attorno al castello; saranno questi i futuri quartieri. Ai nomi correlati a questi antichi quartieri faranno capo una serie di località poste nella parte più interna del centro abitato di Troina; il loro nome, in alcuni casi, viene tramandato attraverso le attuali vie.

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La “Piazza” è il quartiere più antico, l’unico nato “intra-muros”, punto strategico-difensivo che prende origine dalla fortificazione di età romana ed, a sua volta, da quella di età ellenistica. Centro direzionale del paese da secoli, il toponimo è riscontrato ancor prima della realizzazione della piazzetta ottenuta sacrificando buona parte dell’antico monastero di San Giorgio. Comunque, nei secoli XIV e XV la “piazza”, denominata in altri centri abitati col termine di “loggia”, diventa il luogo dove si mercanteggia, si riunisce il consiglio cittadino, si proclamano da parte del banditore gli ordini del re o del capitano.

“Scalforio”, menzionato già nel 1327 con “contrata di Scalforiu”, è quartiere che sorge nella zona sottostante la “Piazza”; esso diviene nei secoli quel nucleo abitato esposto a Mezzogiorno, caratteristico per la conformazione urbanistica, costituita da una serie di vicoli e vicoletti, denominati in dialetto “vanieddi”, la cui voce deriverebbe dal francese antico “venella”, termine importato con probabilità in epoca normanna. L’impianto di questo quartiere, privo di una pianificazione urbana è, infatti, segnato da strade, spesso dei semplici passaggi, scomodi e tortuosi, oltre che da slarghi e spazi non edificati. La parola “Scalforio” avrebbe origini bizantine, precisamente dal composto latino di “scala”, col significato geomorfologico di declivio erto e rupestre e dal greco “phoría” = “villaggio, nucleo insediativo”. I “furíi”, al singolare “furía” = “di fuori”, rappresentavano i sobborghi della città, i nuclei insediativi esterni al perimetro urbano o, nel caso specifico, alla cinta muraria, posti il più delle volte in pendio ripido e terrazzato, oppure attraversati o lambiti da un sentiero ripido e tortuoso che si arrampicava sul pendio, la cosiddetta “scala”. Dal punto di vista urbanistico tale quartiere presenta uno schema planimetrico di adeguamento orografico con comparti adagiati parallelamente alle linee di pendenza e case a schiera; e fino a qualche decenni fa, quella parte di abitato posta a valle, quasi ad indicare un’ubicazione “extra-muros”, fuori dal tracciato delle mura originarie, veniva denominata in dialetto “Scarfurìu di fora” per distinguerla dalla parte alta dello stesso quartiere, probabilmente un tempo inserita in una prima cerchia delle mura del castello e denominata “Scarfurìu d’intra”.

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“San Basilio”, infine, è la chiara ed evidente appendice di “Scalforio”. In tale quartiere era ubicata un’antica chiesa dei Padri Basiliani, dedicata al Santo di rito greco e da cui prese il nome la stessa contrada; detta chiesa venne successivamente denominata “Nome di Gesù”, esistente ancora nella toponomastica della parte sommitale dello stesso quartiere.

Nei primi anni del XVII secolo, nell’area esposta a nord-ovest, intorno alla già esistente chiesetta dedicata a San Sebastiano, venne realizzato il “Sobborgo”, denominato successivamente “Borgo”, periferia cittadina caratterizzata dalla presenza di un ampio asse viario completato soltanto nell’Ottocento, l’attuale via Garibaldi. Il quartiere, da piccolo nucleo, indicato in dialetto “Buriu avutu”, inizia ad espandersi più a valle, dando origine così al cosiddetto “Buriu vasciu”; tutto ciò nel momento in cui avviene un aumento demografico che, per forza maggiore, dalla parte meridionale del paese, ossia da “Scalforio”, si dilata verso Settentrione. Lo spazio che separa il castello dal borgo abitato viene tenuto libero da costruzioni, utilizzato ad orti e per il pascolo degli equini e dei suini.

Nella toponomastica legata a periodi più recenti i nomi delle vie ricalcano soprattutto la presenza di una chiesa o di un monastero ivi presenti; gli esempi sono diversi e si riferiscono allo stradario utilizzato dal Comune di Troina fino al 1935, conservato presso l’Archivio Storico dello stesso Comune. Nel particolare si ricordano le vie dedicate all’Immacolata, allo Spirito Santo, a Sant’Agostino, a San Biagio, a Santa Domenica e a San Domenico, a San Giovanni, a Santa Lucia, a San Matteo, a San Nicola ed a San Nicolò, a San Panteon (o Pantaleone), a San Pietro, a San Rocco, a San Sebastiano, al SS. Nome di Gesù ed al Santissimo Redentore, a San Silvestro, a San Teodoro, a San Vito. Seguono una serie di discese, per esempio quella degli Angeli, dei Cappuccini, dell’Idria, di San Francesco; infine, una via dedicata alla Madonna della Catena ed un’altra alla Madonna del Soccorso; al Carmine ed alla Madonna di Loreto (via Oreto). Sul significato di quest’ultimo toponimo vi sono diverse ipotesi; la più accreditata deriverebbe da Loreto, ma potrebbe derivare dal culto pagano di un dio denominato “Oreto”, avente dimora nei fiumi e nelle fontane, tenendo conto che la zona di via Oreto è posta tra gli idronomi “Fontanelle” e “Ramosuso”.

Un altro importante nucleo di vie attesta i nomi di famiglie le cui abitazioni si affacciano lungo una strada. Gli esempi sono parecchi, anche se nel corso degli anni alcuni nomi sono stati soppressi per essere sostituiti da altri. Nello stradario risalente al 1935 venivano elencate, in ordine alfabetico, le seguenti vie: Alberti, Anfusa, Barbaro, Baudo, Bazan, Bonamico, Bonanno, Bonfornello, Bottitta, Cagnone, Calabrese, Campis, Castano, Castellano, Chiavetta, Cusimano, Cutore, D’Amico, Dell’Arte, Di Franca, Di Muni, Foti, Giuliano, Giunta, Gravagna, Graziano, Iacona, Impellizzeri, La Greca, L’Episcopo, Liccardi, Livoi, Mansueto, Marchese, Marino, Miraponte, Monastra, Mongioi, Monteforte, Mustica, Napoli Bracconeri, Nerone, Palma, Palmigiano, Petralia, Pettinato, Pintaura, Pipi, Polizzi, Pratofiorito, Raimondi, Romano, Rotelli, Ruggeri, Russo, Saccone, Salico, Saluzzo, Santoro, Scaminaci, Schifani, Schinocca, Scialfa, Scorciapino, Siciliano, Sollima, Sotera, Squillaci, Stazzone, Suraniti, Turco, Zitelli.

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Ai personaggi più importanti della storia troinese del periodo normanno sono state dedicate tre vie: la “Conte Ruggero”, costituita dall’asse principale del centro storico; la “Papa Urbano II”, una stradina sottostante la chiesa madre; la “Roberto”, probabilmente dal nome del primo abate posto a capo del rifondato monastero di San Michele Arcangelo, cognato del gran conte; a meno che, quest’ultimo nome, corrisponda al cognome “Ruberto”, famiglia presente a Troina.

Altre vie vengono dedicate al passaggio delle processioni: Corpus Domini, Cristo Risorto, Reliquia di San Silvestro. Oppure ad alcuni mestieri, quali via Caprai o via Muratori.

Il “Largo delle Carrozze”, toponimo sostituito successivamente con piazza Martiri d’Ungheria, era il punto di partenza e di arrivo delle carrozze e dei veicoli, una sorta di capolinea limitrofo alla “locanda Stella”, con fondaco e stalle per il ricovero temporaneo dei cavalli e dei muli.

Non mancano quei nomi legati alla caratteristica dei luoghi; per esempio via Nociare e via degli Orti. Da menzionare la cosiddetta “Scalata”, la quale rappresenta una via, altrettanto ripida, tale da essere stata realizzata a gradinate; questo percorso ancora oggi mette in comunicazione il quartiere “Corso”, posto a valle, con il quartiere “San Basilio”, ubicato poco più a monte. Significato simile avrebbe il nome di un’altra via, la “Rizza”, dal latino “recta”, successivamente corrotto in “ricta” e, quindi, in “ricza”; cioè stradina stretta e dritta, ma anche lunga ed irta, realizzata per creare un collegamento rapido tra il “Sobborgo” e la parte alta del paese. Il nome dato al quartiere “Croce”, deriva dalla presenza di una colonna sormontata da una croce in ferro posta in questo luogo. Infine, il toponimo “Corso”, in dialetto “‘u Cussu”, deriva dal tardo latino “cursus”, il quale rappresenterebbe un diritto di pascolo per quei luoghi; tale quartiere, all’interno del quale si snoda l’attuale corso Vittorio Emanuele, è già attestato a partire dalla prima metà del XVIII secolo.

Ed ancora via Mercato, una viuzza che conduceva ad una zona più ampia dove si teneva il mercato; via Ospedale, dove era ubicato l’antico complesso cittadino, posto nell’ambito della Casa di San Giovanni di Dio. Non sono stati tralasciati i nomi dei due massimi poeti e scrittori italiani: Dante e Petrarca, ai quali vennero dedicate due rispettive vie nell’ambito del centro storico.

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Significativo risulta il nome di un antico quartiere posto all’estremità sud-ovest della cittadina, nei pressi dell’attuale chiesa dedicata a Santa Lucia: “Agnone”, in dialetto “‘a Gnuna”, denominazione ricordata oltre che come quartiere anche da un’attuale via, si farebbe derivare dal greco “ankōn” = “gomito”, “cantone”, ripreso dal latino medievale “anglōnus”, con riferimento all’angolo di un muro o di un cantonale; pertanto, una delle estremità della fortezza.

Ecco che il quartiere denominato “Rocche” rappresenta quella parte dell’abitato esposta a Mezzogiorno configurata ancora oggi da una balza rocciosa e scoscesa, a pareti nude ed a forte pendenza; voce già presente in Sicilia nel periodo della dominazione araba con “ruqqah”.

Le acque piovane, ed in genere lo scarico delle acque bianche di una porzione della cittadella fortificata, venivano convogliate in un canale che ancora agli inizi del XVIII secolo è attestato in un documento con «valloni detto di Guadagnino che è quello che cala dalla Conseria e va a Limbia». Tali notizie permettono di trarre qualche utile considerazione, poiché il predetto “valloni” doveva essere un canale che dal luogo chiamato “Conseria” scendeva a “Limbia”, località posta ai piedi dell’abitato ed attestata già in età medievale, precisamente nel 1331. Il nome “Guadagnino” potrebbe derivare dall’ararabo “wad ‘ayn” = “vallata della sorgente”, come pure il toponimo “Conseria”, dall’arabo “hinzaria” o “hanzariyyah” = “luogo di maiali”, ma nel dubbio lasciamo che quest’ultimo nome indichi una conceria riferita alla lavorazione delle pelli. Infatti, una delle attività artigianali più redditizie nel Medioevo è proprio la concia delle pelli ed una norma del periodo federiciano stabiliva che la lavorazione del cuoio venisse praticata fuori dai centri abitati, poiché si trattava di processi assai inquinanti che costringevano tanta gente a stretta contiguità con carcasse di animali morti e con prodotti vegetali, quali mirto e sommacco, le cui foglie, polverizzate da appositi mulini, a contatto con le pelli producevano odori nauseabondi.

Fuori dall’abitato erano presenti le aree coltivate, con campi destinati a cereali, vigneti e prati. Seguivano i casali ed i feudi ed, ancora più all’esterno, una fascia di terre comuni, pascoli e boschi curati dalla comunità; infine, al di là di queste tre zone (“abitato”, “coltivo” e “terre comuni”), ancora più distante si estendeva la “foresta”.

 

Nicola Schillaci

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