In esecuzione al Real Decreto dell’8 agosto 1833 ed in conformità alle Istruzioni del 17 dicembre 1838, nonché ai Reali Rescritti del 27 novembre 1841 e del 29 ottobre 1842, viene varato il Catasto provvisorio nel Regno delle Due Sicilie. Le operazioni in Sicilia iniziano nel 1835 e terminano, dopo varie vicende, nel 1853. Nasce, così, il primo catasto siciliano che, nel complesso, può ritenersi esatto. Una sorta di censimento della popolazione e delle attività economiche di allora, anche se l’attività prevalente risulta quella agricola.
Tale catasto ha lo scopo di inventariare tutti i beni immobili esistenti nell’ambito del Regno delle Due Sicilie ma, cosa più importante, determinare l’imposta sul reddito a carico dei possessori di tali beni. Esso rimane descrittivo, attuato cioè mediante una descrizione o elencazione più o meno sommaria degli immobili, sia terreni che fabbricati, distinguendosi dal geometrico poiché quest’ultimo attuato mediante un rilievo topografico planimetrico degli stessi immobili, sia urbani che rurali. Pertanto, per tale catasto non esistono delle mappe dettagliate se non per riportare l’intero territorio comunale in maniera sommaria, con la delimitazione dei confini tra comuni limitrofi. L’inventario viene effettuato possessore per possessore o, meglio, unità abitativa per unità abitativa, fondo agricolo per fondo agricolo, mettendo in evidenza anche la qualità di coltura.
Del resto, già nel 1783 in Sicilia il viceré Domenico Caracciolo si era strenuamente battuto per estendere alla legislazione fiscale siciliana l’adozione del catasto, individuato come uno strumento moderno, avente lo scopo di accertare i patrimoni ed i redditi, da porre a base di una più equa politica del prelievo e di una più certa formazione delle entrate erariali.
Grazie alla più prudente azione del Caramanico, successore del Caracciolo, l’idea del catasto venne lentamente accettata, sancendo con la Legge 28 settembre 1810, l’introduzione in Sicilia di un regolare sistema di contribuzione fondiaria e dettando disposizioni per la formazione del corrispondente catasto.
La legge, formulata male da legislatori inesperti e privi di ogni conoscenza a riguardo, oltre a rimanere priva dei necessari regolamenti applicativi, venne gestita in maniera superficiale e precipitosa, le cui operazioni di accertamento furono esposte ad una serie di errori. Pertanto, tutti questi motivi spinsero il governo borbonico ad una rettifica del catasto, che rendesse più efficace l’operazione del prelievo fiscale, meno esposto ad errori e rendendo più omogeneo il criterio posto a base del calcolo del reddito imponibile. Il decreto, pertanto, dell’8 agosto del 1833, seguito da ulteriori provvedimenti, venne emanato per risolvere tali problemi.
Negli anni successivi al 1838 si aggiunsero altre disposizioni in ordine alla compilazione tecnica dei catasti ed ai compiti delle Commissioni locali, ed in base a tutta questa faticosa elaborazione legislativa, fu finalmente possibile approntare il “catasto borbonico”, la cui opera, comune per comune, giunge fino ad oggi come specchio di quei tempi travagliati e come effettiva ed ulteriore testimonianza di una difficile ed incompleta modernizzazione.
Per il Comune di Troina, presso L’Archivio di Stato di Enna, sono conservati una serie di volumi definiti Partitari, nei quali vengono elencati, in ordine alfabetico, i proprietari con la natura di ciascuna proprietà, l’ubicazione della località o contrada, l’estensione e la rendita netta imponibile. Nel volume denominato Sezionale, dalla lettera A alla lettera I, sono elencati gli stessi proprietari. Non è stato possibile reperire, invece, i medesimi volumi attinenti al Comune di Cesarò, nei quali è presente una sezione scorporata dal Comune di Troina ed annessa al primo.
Al fine di intraprendere le operazioni di censimento del catasto, il territorio comunale di Troina venne suddiviso in nove sezioni, contraddistinte con le lettere dalla A alla I, anche se a carico dello stesso comune era presente, come detto, una decima sezione contrassegnata con la lettera K e relativa ad una consistente parte di territorio posto a Settentrione, comprendente le cosiddette Foreste di Troina, di proprietà dello stesso comune, ed una serie di ex-feudi di origine ecclesiastica e nobiliare; quest’ultima sezione, nel 1852 venne scorporata dal territorio di Troina ed acclusa al catasto di Cesarò.
Le sezioni dalla lettera A alla lettera D afferiscono al centro abitato di Troina nei suoi quattro quartieri urbani principali, evidenziando, pertanto, il “catasto urbano”, mentre le sezioni successive, dalla lettera E alla lettera I ed includendo, prima del 1852, la sezione indicata con la lettera K, comprendevano la restante parte del territorio, l’aperta campagna suddivisa in contrade, evidenziando così il “catasto terreni”.
Quanto alla popolazione, per Troina, se nel censimento del 1770 è di appena 6.273 anime, nel 1798 vengono raggiunti 7001 abitanti, come pure nel 1817, passati successivamente a 7408 nel 1831 ed a 9314 nel 1852; quest’ultimo periodo è quello attinente alle operazioni relative al catasto.
a) Il centro abitato:
Ogni proprietà censita nell’ambito del centro abitato viene definita dagli appartamenti, dai quartini, dalle case solerate, dai bassi (con o senza camere sopra), dalle case terrane, dalle stalle (con o senza pagliere), dai magazzini e dai catodii. Seguono i suoli di case dirute e le case in costruzione; ed ancora, le chiese e le cappelle aperte al culto, nonché quelle dirute, gli oratori e le sagrestie; infine, altri edifici a carattere pubblico, quali il teatro. Nell’ambito del centro abitato sono censiti anche alcuni orti e terreni con alberi da frutto, come pure qualche vigneto.
È possibile apprendere che gli appartamenti, cioè quegli edifici costituiti da più stanze formanti un’abitazione dignitosa, raggiungono le 9 unità, di cui uno nel quartiere Scalforio, 3 in Piazza e 5 al Borgo. I quartini, invece, più numerosi, raggiungono le 135 unità; di essi, 9 sono rilevati a Scalforio, 28 a San Basilio, 36 al Borgo e 62 in Piazza. Le case solerate, cioè quelle case a più piani provviste di solai, raggiungono le 723 unità abitative, concentrate maggiormente a San Basilio con 281 unità; segue Scalforio con 155, il Borgo con 148 e la Piazza con 139. Per quanto riguarda i cosiddetti bassi con camere sopra, vengono raggiunte le 960 unità, concentrate sempre a San Basilio con 437, essendo una caratteristica di questo quartiere; seguono i quartieri Borgo con 246, Piazza con 141 e Scalforio con 136. Infine, le case terrane, cioè a piano terra, limitate a 29, distribuite equamente tra San Basilio, in numero di 11, Scalforio in numero di 10 ed il Borgo in numero di 8. Tale tipologia di abitazione è esclusa nel quartiere Piazza.
Seguono una serie di ambienti inseriti nel complesso abitativo, cioè nell’unità abitativa o che possono rimanere a se stanti. Tali strutture sono definite dalle stalle, con o senza pagliera, cioè con o senza un vano retrostante utilizzato per il deposito della paglia; i singoli vani adibiti a stalla raggiungono il numero di 52, mentre le stalle con pagliera raggiungono le 252 unità; nel complesso vengono superate le 300 stalle, concentrate equamente tra Scalforio e San Basilio, in numero di 91 ciascuno, seguite dal Borgo con 70 ed, infine, dalla Piazza con 52.
Il maggior numero di locali adibiti a bottega è riscontrato nel quartiere Borgo, con 32; la restante parte, pari a 20, è ripartita tra gli altri tre quartieri. I magazzini, come intuibile, su di un totale di 69, raggiungono un numero elevato in Piazza, pari a 26; seguiti dal quartiere San Basilio con 23, dal Borgo con 12 e da Scalforio con 8.
Un caratteristico locale dei paesi del Mezzogiorno è il catoio, la cui parola ha il significato di vano sottomesso, buio e cavernoso. Il Traina definisce catoju una stanza sotterranea o terrena”, ma può esprimere anche una casa povera ed angusta; tale tipologia di abitazione si riscontra in tutti e quattro i quartieri con prevalenza in quello di San Basilio.
I fondachi e le locande censiti all’interno del centro abitato, sono ubicati esclusivamente nel quartiere Borgo, rispettivamente in numero di 4 e di 3.
Per quanto riguarda gli edifici di carattere religioso, quali le chiese, le cappelle, le sagrestie e gli oratori, qualcuno di questi indicato come diruto, oltre ai monasteri ed ai conventi, vengono superati i 30 edifici; essi sono censiti in tutti e quattro i quartieri, anche se il maggior numero si riscontra in Piazza ed a San Basilio.
Il quartiere Scalforio, alla data del rivelo presenta ancora 5 chiese oltre ad un convento; di queste si menzionano la Chiesa di S. Teodoro, la Chiesa di S. Nicolò di Scalforio, la Chiesa di Santo Rocco di Scalforio e la Chiesa di Maria SS. della Scala; quest’ultima indicata come diruta, come del resto anche dal Di Marzo, già nel 1790. Infine, la Chiesa ed il Convento dei Padri Agostiniani, fondato nel 1491; nell’elenco dei vani e degli ambienti descritti in catasto e relativi a quest’ultimo convento, non viene menzionato ancora l’attiguo loggiato, realizzato successivamente. Nell’elenco non viene menzionata la Chiesa di S. Stefano, crollata nel 1775, come riportato dal Di Marzo, e probabilmente non più ricostruita.
Nel quartiere San Basilio erano già andate in rovina, la Chiesa della SS. Trinità, verso il 1770 e la Chiesa di S. Carlo, nel 1790; di esse non si ha notizia nel presente rivelo. In tale quartiere è presente una chiesa dedicata a S. Rocco, in disuso nel 1815 e ripristinata nel 1853, poiché menzionata. A quest’ultima data sono presenti 6 chiese e 2 oratori, oltre ad alcuni conventi, quali la Chiesa di S. Rocco di S. Basilio, la Chiesa di S. Francesco di Paola, la Chiesa di Santa Caterina, la Chiesa di S. Matteo, la Chiesa del SS. Nome di Gesù, la Chiesa Parrocchiale di S. Lucia, il Convento dei PP Carmelitani con l’annessa chiesa dedicata alla Beata Vergine Annunziata, la Chiesa ed il Monastero dei Reverendi Padri Basiliani sotto il titolo di S. Silvestro, la Chiesa ed il Convento dei Padri Cappuccini sotto il titolo di Maria SS. degli Angeli, presente dal 1540, la Chiesa ed il Monastero dei Reverendi Padri Basiliani sotto il titolo di S. Michele Arcangelo, realizzato a partire da XVIII secolo.
Lungo il cosiddetto corso della Piazza, dal 1770 non è più esistente la Chiesa di S. Maria dell’Idria, mentre sono ancora presenti, a metà 800, 11 edifici tra chiese e cappelle, oltre ad alcuni conventi, quali la Chiesa di S. Vito, la Chiesa del SS. Salvatore, la Chiesa di S. Nicolò la Piazza, la Chiesa Madre, la Chiesa del SS. Sacramento, la Chiesa di Maria SS. del Rosario, la Chiesa di Santa Maria la Presentazione, la Chiesa di S. Biagio, la Chiesa ed il Monastero degli Angeli, la Chiesa ed il Monastero di Santa Chiara, la Chiesa ed il Convento di S. Francesco dei frati conventuali, fondato nel 1470, la Chiesa ed il Collegio di Maria, istituito verso il 1770 per l’educazione delle fanciulle, il Monastero di S. Giorgio con l’annessa chiesa, dedicata già dal 700 a S. Giuseppe, l’Ospedale dei Reverendi Padri Benfratelli (o Casa di S. Giovanni di Dio) con l’annessa chiesa, dedicata a S. Andrea.
Infine, il Borgo, presenta 4 chiese denominate rispettivamente Chiesa Parrocchiale di S. Sebastiano, fondata all’inizio del 600, Chiesa di S. Domenico, Chiesa dello Spirito Santo e Chiesa dell’Oreto.
b) Il territorio agrario:
Gli ordinamenti colturali riferiti all’ambiente agricolo presente nell’ambito del territorio di Troina si configurano in questo periodo alquanto semplici, poveri e primitivi. Tale ambiente rispecchia, infatti, un’immagine alquanto varia, compresa tra il paesaggio della Sicilia del grano, privo di alberi, in certi casi povero di animali e di uomini, spoglio di costruzioni rurali e di collegamenti stradali, isolato ed assolato, lontano dal centro abitato, ed il paesaggio della Sicilia dell’albero, contrassegnato dalla presenza di coltivazioni arboree, in cui prevalgono i vigneti, gli oliveti ed i mandorleti ed, in genere, il seminativo arborato, prossimo o poco distante dal centro abitato. In quest’ultimo caso, la produttività del fondo non dipende tanto dalla sua estensione, come negli appezzamenti a cereali, quanto dall’intensità delle colture presenti.
Il bosco ed i pascoli permanenti, posti nella parte più settentrionale del territorio, testimoniano un’economia agro-pastorale legata allo sfruttamento del legno ed all’utilizzo di ampie distese pascolative per il bestiame.
Complessivamente, la Superficie Agricola Utile raggiunge 16.197 ettari, su di una Superficie Totale relativa a tutto il territorio comunale di 16.695 ettari.
I seminativi, semplici ed arborati, per esempio, raggiungono una superficie complessiva di ettari 13.871, pari all85,64% dell’intera estensione indicata a colture. Dai dati in questione emerge l’assoluta prevalenza dei seminativi semplici e dei pascoli che concordano con la tendenza dei dati regionali di questo periodo. Siamo in presenza di grandi appezzamenti di terreno nei quali, in rotazione o in avvicendamento, solitamente triennale, si coltiva al primo anno grano o orzo, al secondo anno maggese ed al terzo anno pascolo. Tenendo conto di tale avvicendamento, grano-maggese-pascolo, quest’ultima coltura, il pascolo, risulta di gran lunga dominante rispetto al vero e proprio seminativo a cereali. Altri cereali, quali lavena ed a volte lo stesso orzo, vengono coltivati in ristrette aree, mentre alle leguminose da granella (fave, piselli, ceci, lenticchie e cicerchie), viene attribuita una estensione assai modesta, non rilevata dal catasto ed al posto del maggese. Per maggese si intende un terreno lasciato a riposo, anche se opportunamente lavorato, affinché riacquisti la fertilità. I terreni destinati a seminativo sono maggiormente presenti nella parte meridionale del territorio. Seguono i veri e propri pascoli naturali, con una superficie di circa 968 ettari.
Gli arboreti da frutto occupano circa il 17% delle superfici a colture ed il posto più importante spetta al vigneto, seguito dall’oliveto. Il ficodindieto, di più recente introduzione, lo ritroviamo generalmente a valle dell’abitato, a quote basse; esso rappresenta una coltura preziosa poiché, oltre che per i frutti, viene utilizzato per i cladodi, le cosiddette pale, ai fini dell’alimentazione del bestiame.
Il vigneto, sia esso semplice che arborato, raggiunge una superficie complessiva di ettari 1.021, di cui ettari 822 in coltura pura ed ettari 199 in coltura promiscua, assieme ad altre piante da frutto, rappresentando la prima coltura arborea, seguita dall’oliveto. Sappiamo che il vigneto è una delle colture più antiche presenti nel territorio; documenti del 300 attestano la presenza di vigneti in parecchie contrade. Allevato quasi sempre a ceppaia bassa, oltre ad essere diffuso abbondantemente in prossimità dell’abitato, i dati catastali indicano appezzamenti esposti non solo a Mezzogiorno, ma anche a Tramontana. Anni dopo, a causa della fillossera, parecchie superfici a vigneto già censite nel catasto borbonico, verranno cancellate; la rapida diffusione di questo parassita della vite, nel giro di pochi anni provocherà la distruzione di una buona parte dei vigneti presenti fino ad allora. L’arrivo della fillossera anche in quest’area rappresenterà la fine di un sogno di riscatto da parte dei viticoltori e l’inizio di un periodo di crisi. La fillossera, infatti, decimerà quasi tutti i vigneti, come aveva fatto in altre parti della Sicilia e dell’Italia ed in pochi anni, a partire dal 1881, si ebbe un crollo definitivo delle superfici a vite per poi riprendere nel primi decenni del 900.
I secolari oliveti ancora oggi presenti nell’ambito del territorio di Troina, oltre a racchiudere una funzione economica e di difesa del suolo, riescono a creare quel paesaggio definito dell’albero. A differenza di altre colture, preminenti nel passato ma scomparse al giorno d’oggi, l’importanza economica dell’olivo è rimasta stazionaria. Esso nella storia agricola siciliana, ed in particolare di Troina, costituirà un elemento di fondo, sempre presente ma non importante da essere alla base di svolte produttive e determinanti, come lo è stato per la vite. A metà 800, pertanto, il territorio troinese, presentava una superficie ad oliveto di 85 ettari. Pur essendo conteggiate le superfici ad orto alberato, a seminativo alberato ed a vigneto alberato, sulle quali insistevano sicuramente delle pianta di olivo, non viene messo in evidenza il loro numero. Le superfici ad oliveto si presentano, per lo più, in coltura promiscua con la vite o con il seminativo in genere; vi è in questo periodo una prevalente consociazione arborea costituita dal binomio vite-olivo. Infatti, il ciclo della vite, terminando sui 40 anni, lasciava il posto all’olivo, il quale iniziava la produzione dei frutti a partire dai 15-20 anni. In alcune masserie, pur riscontrando solamente piante di olivo, è rimasto ancora in uso il toponimo vigna, proprio a significare che in tale luogo un tempo era presente un vigneto consociato all’oliveto. Diverse le località riportate per Troina, dove vengono censiti gli oliveti: Sotto Badia, Loggione, Liso, Radicone, Serro Bianco, Cota, Sant’Antonio, Masseria Vecchia, Schiddaci; località, per lo più esposte a Mezzogiorno. Oliveti successivi a quelli originari, disposti in maniera più ordinata, risultano quelli ubicati in località Oliveto, Schiddaci, San Paolo, Sangisuca, Serro Bianco, Ciappulla e Cota Soprana.
Infine, nel seminativo alberato ritroviamo il mandorlo, il noce ed il nocciolo, come pure vari fruttiferi (dal pero, al melo, al fico), mentre fanno parte di una ridottissima frazione, pari ad ettari 6,50 gli orti e le superfici irrigue in genere. Essi sono presenti nei più immediati dintorni del paese. Le ridotte aree irrigue sono indice di un ambiente costretto ad accogliere piante a ciclo autunno-vernino-primaverile, a temperature e luminosità ridotte.
Se si fa eccezione dell’ampia superficie boscata costituita da cerrete e faggete, pari a circa 4.300 ettari, un tempo annessa al territorio comunale, ma a partire da questo censimento trasferita in territorio di Cesarò anche se rimasta di proprietà del Comune di Troina, poche risultano le aree boscate naturali se si toglie il Bosco di Buscemi, con piante di sughera e roverella, il Bosco di San Giovanni ed il Boschetto di San Gregorio, con piante di roverella; il Bosco di Sillemi-San Cono, con roverelle, noci e castagni; esse rappresentano delle esigue e circoscritte aree boscate, relitti di epoche passate. La loro estensione non supera i 214 ettari. Tali boschi, oltre ad appartenere in parte a privati, sono anche demaniali, cioè di proprietà pubblica o, meglio, della comunità locale che li mette a disposizione dei loro abitanti. Su questi terreni demaniali, chiamati terre comuni, tutti i cittadini potevano, infatti, portare a pascolare le loro greggi, fare legna, andare a caccia, raccogliere frutti e, se possibile, seminare cereali. Insomma, esercitare quei diritti comuni che consentivano anche al più umile dei contadini di poter integrare in qualche modo le misere entrate.
Nicola Schillaci