Il Conte Ruggero, tre mogli e una ventina di figli (Seconda Parte)

Giordano, primogenito e illegittimo

Alcune fonti (del tutto marginali, per la verità) accreditano erroneamente come figlio di Giuditta anche Giordano. In realtà è comprovato che è il primo dei figli naturali noti, e legittimati, di Ruggero. E – con tutta probabilità come almeno due altri due figli naturali illegittimi – è nato “prima” delle sue quattro sorellastre generate da Giuditta. Alcuni autori datano come anno di nascita di Giordano il 1060 o addirittura il 1062. Ci permettiamo di osservare che potrebbe essere anche qualche anno precedente. Pare poco probabile che Ruggero se ne sia stato buono e casto fino a 29 anni. Più fondate pertanto le fonti che lo vorrebbero nato nel 1054.

Ecco cosa sappiamo di Giordano. Non è noto il nome della madre, una concubina vicina al padre nel periodo della sua residenza in Calabria, precedentemente al primo matrimonio.

Nel 1076 Giordano era impegnato nei dintorni di Catania nelle operazioni di guerra contro il saraceno Benavert (Ibn Abbad), che lo trasse in un agguato e lo costrinse a rifugiarsi nella città, mentre il suo compagno, l’anglo-normanno Ugo di Jersey (Hugues of Jersey), marito della sorellastra Flandina, perdeva la vita nell’imboscata. Nel 1077 lo ritroviamo a Trapani dove combatté valorosamente per la resa della città. Nel 1079 era all’assedio di Taormina.

Giordano si batté con grande impegno per la riconquista di Catania, tornata ancora nelle mani dell’Emiro Benavert per tradimento, tanto da meritare la fiducia del padre che lo nominò suo luogotenente quando nel 1081 si allontanò dalla Sicilia. Ma Giordano approfittando di tale fiducia tentò di insubordinarsi al padre, creando un proprio stato indipendente e cercando di impadronirsi del tesoro paterno che era custodito a Troina. Fallita la rivolta, ritornò comunque nelle grazie del padre con il quale si ritrovò in diverse scorrerie e campagne militari, come l’assedio di Siracusa del 1086 e la presa di Noto nel 1091, che segnò la definitiva conquista della Sicilia da parte dei Normanni.

Ottenne così dal conte Ruggero la signoria di Siracusa e Noto e, insieme alla signoria, un matrimonio prestigioso con una sorella di Adelaide del Vasto, terza moglie di suo padre, della stirpe aleramica (gli Aleramici furono una importante dinastia sovrana italiana fondata da Aleramo, primo marchese di Savona e del Monferrato nel Sacro Romano Impero per investitura nel 967 dell’imperatore Ottone I).

Nel 1091 Giordano fu ancora a capo della Sicilia durante l’assenza del padre Ruggero in occasione della spedizione a Malta. Nell’aprile 1092 era ancora vivo (documentato in un atto di concessione di Ruggero a favore del monastero di Sant’Agata a Catania), ma il 18 o 19 settembre di quell’anno moriva a Siracusa, con molto dolore del padre che lo aveva designato erede della contea di Sicilia. Venne sepolto a Troina. Giordano è quindi un degno figlio di Ruggero. Valoroso, caratterialmente ora subordinato ora irruento. Persino troppo intraprendente e con più di una iniziativa da farsi perdonare. Vale la pena ripercorrerne le imprese che occupano numerose pagine delle cronache di Malaterra. Sempre celebrative ma spesso avvincenti come un romanzo d’avventura. A cominciare dalla bravata che nel 1076 costa la vedovanza alla giovanissima Flandina: “Il conte venne richiamato in Calabria da certi affari e nell’allontanarsi affidò a Ugo di Jersey il compito di sovrintendere in Sicilia; a questi (…) aveva concesso la mano della figlia e, come dote, Catania; gli proibì però di rispondere a eventuali incursioni da parte di Benavert che abitava nella vicina città di Siracusa. Ma Ugo per il suo ardore giovanile, per la accesa bellicosità e per la brama non osservò quanto gli era stato proibito, e prese a concepire il disegno, prima che ritornasse il conte, di compiere qualche impresa d’onde acquistarsi gloria militare. Perciò si avviò verso Troina per richiamare a Catania il figlio del conte, Giordano.

Allora Benavert, riunito un esercito di soldati scelti, si avvicinò di notte nei pressi di Catania, si nascose in agguato e mandò trenta soldati fino alle porte, per provocare i cittadini al combattimento e allontanarli dalla città facendosi inseguire. Ugo e Giordano, fieri soldati, esortando i soldati alla lotta, uscirono dalla città con grande impeto, mandarono in avanscoperta trenta soldati per esplorare eventuali imboscate, mentre essi, senza nulla sospettare, andavano al seguito. Quando gli esploratori che precedevano oltrepassarono il luogo dell’agguato e sopraggiunse il resto dell’esercito, allora i nemici che erano nascosti si gettarono all’assalto con un turbinio terribile di armi. Sicchè quelli che avevano preceduto, pur accorgendosi dell’imboscata, non potendo tornare in aiuto perché separati del nemico, raggiunsero in fuga Paternò. I nostri lottarono eroicamente ma Ugo, genero del conte, e tanti altri vennero uccisi, invece Giordano, valutando di non potersi opporre al nemico, riuscì a fuggire con pochi altri a Catania. Benavert, soddisfatto delle spoglie, rientrò a Siracusa. Quando il conte fu avvertito da un messo del fatto clamoroso, assaltò la città di Judica e la distrusse dalle fondamenta, uccidendone gli uomini e mandando schiave le donne in Calabria, e ciò nel 1076. L’animo del principe era così affranto per la morte del genero, da rasentare quasi la pazzia, e pensava che non sarebbe rinsavito, se non con una vendetta più completa; perciò si recò fino a Noto, dove distrusse tutto, e distrusse con fuoco anche le stesse messi – era infatti il periodo della trebbiatura – poiché non riusciva a portarle via. Cosa che replicò in tante altre parti della Sicilia, provocando contemporaneamente una grandissima carestia: “Ci fu la fame perché la vendetta portò via il pane”. “

Trapani, 1077. “Da questa città – scrive il cronista-panegirista Malaterra – si estendono sull’acqua due strette strisce di terra ricche di pascoli fertili, entro cui penetra il mare. Qui i cittadini allevano, in tempo di guerra, armenti e vari animali domestici; da lì i nemici dovevano quotidianamente allontanarsi per la presenza dei nostri che, osservando la situazione e il breve tratto di mare, cominciavano a concepire una qualche astuzia, com’è nel carattere di questo popolo, dall’avidità di fare prede. E invero Giordano, figlio del conte, era quello che più risolutamente meditava il progetto, e ciò faceva per acquisirsi una certa gloria militare sugli altri. E fu così che, temerario e avido di gloria come era, Giordano si accordò con i suoi intimi, e una sera, scelti cento soldati, senza informarne il padre, li fece salire sulle navi e di notte raggiunse la penisola dove ancorò le navi e sbarcò: quindi si nascose in un’insenatura, mentre era ancora buio. Sicchè, trascorsa la notte, quando il sole fece luce sulla terra con i suoi raggi, tutti i cittadini, come al solito, uscivano dalla città per spingere le mandrie sulla striscia di terra e condurle al pascolo. Giordano, quando vide dal suo nascondiglio che gli armenti erano lontani dalla città, proruppe come un leone, e si mise a spingere le bestie per farle salire sulle navi. Quando i cittadini si accorsero che i pascoli inavvertitamente erano stati invasi dai nemici, corsero alle armi: quasi diecimila uscirono dalla città e inseguirono il nemico per strappare loro la preda; ma imprudentemente: infatti Giordano, quando vide che si erano allontanati dalla città, non si occupò più della preda, e andò loro incontro con ferocia bestiale; avvenne lo scontro e si lottò accanitamente. Giordano, grande esperto di queste zuffe, eccitando i suoi con incoraggiamenti, abbattè molti nemici, gli altri mise in fuga e li inseguì fino alle porte della città facendone strage, e ne uscì vittorioso. Così ritornò alle navi, e in piena libertà imbarcò la preda e ritornò dal padre trionfante e senza danni. Per questo fatto la città, atterrita al massimo, fu costretta, come abbiamo detto, alla resa”.

Il prode cavaliere Giordano nel 1078 nella presa di Taormina guida i guerrieri normanni propri e del padre.

Risale al 1083 una macchia – e che macchia! – nella condotta di Giordano, luogotenente-governatore delle conquiste siciliane in assenza di Ruggero. Congiura e insorge contro il padre. Ecco come Malaterra ricostruisce i fatti: “Ruggero, richiamato in aiuto dal fratello che di recente era ritornato dalla Bulgaria, dirigendosi verso la Puglia, assegnò la difesa della Sicilia al figlio Giordano, ai cui ordini tutti dovevano sottomettersi. Giordano, sebbene nato da una concubina, era tuttavia di grande forza d’animo, robusto e ambizioso di grandi e gloriose imprese. Da un po’ di tempo, ascoltando i consigli di giovani malvagi che gli stavano attorno, meditava una cospirazione per ribellarsi, e credendo occasione opportuna al suo piano perverso, il fatto che il padre fosse lontano, insidiava astutamente molti e ne carpiva la fede in modo che si impegnassero, come complici, a portare a termine qualsiasi iniziativa egli rendesse. E così, coinvolti alcuni, finalmente svelò il piano a lungo meditato, con qualcuno entrò in contrasto, ma alla maggior parte il piano piacque. Chiunque mostrasse qualche perplessità ad accettare il progetto, veniva aspramente ammonito a non mancare di lealtà: diceva che così si sarebbero osservati i giuramenti da loro fatti al padre quando, accingendosi a partire, aveva comandato che tutti obbedissero a qualunque suo ordine. E tante cose prometteva, e pretendeva, oltre ogni decenza, il loro assenso su un piano così criminoso che riguardava, tra l’altro, possedimenti del padre o da lui concessi. Infatti, usurpò le città di San Marco e di Mistretta e, palesando il tradimento, in esse mise al sicuro le prede fatte in tutta la provincia. Avvicinandosi minacciosamente verso Troina coll’intento di rapinare il tesoro del padre che lì si conservava, non riuscì nei suoi propositi, e se ne tornò a mani vuote perché i fedeli del conte, scoperto il tradimento, si riunirono per allontanarlo minacciosamente da quel territorio.

Tutto ciò fu annunziato al padre, che si affrettò a tornare; comportandosi con discrezione, per evitare che il figlio, atterrito, passasse nelle file dei Saraceni che ancora erano ribelli, dissimulò di avvicinarsi a lui ostilmente. Quando fu riferito a Giordano che il padre considerava le sue imprese con indulgenza, concordò deplorevolmente un patto personale che non si curava della salvezza dei complici e si recò dal padre, il quale, dissimulando sul momento l’ira, mostrò anzi un volto ilare. Ruggero, che guardava anche al futuro, voleva evitare che i complici del figlio la passassero liscia, perché altri non fossero spinti a osare altrettante cose; e così, pochi giorni dopo, all’oscuro del figlio, mandò a chiamare, uno dopo l’altro, i dodici caporioni complici e fece cavare loro gli occhi. Fatto ciò, fece venire a sé anche il figlio, e volendo che in futuro si astenesse da tali imprese, lo minacciò, fingendo di volergli infliggere la stessa punizione per equità. Ma ne venne dissuaso da alcuni suoi fedeli che appositamente il conte aveva istruito in questo senso; per il futuro potè contare in pieno, com’era giusto, su un figlio terrorizzato: infatti l’obbedienza e una giustizia rigorosa sono fondamentali per la pace, come attesta il salmista quando dice: “Quando la misericordia e la verità si incontrano, la giustizia e la pace si abbracciano”. Bisogna infatti badare che la misericordia non diventi una giustizia indulgente più del dovuto, nel qual caso i vizi si moltiplicherebbero. Provvidamente il padre, come un esperto medico, atterrì il figlio con quel rigore affinchè si astenesse in futuro da male azioni”.

Nel 1086 Giordano è al fianco del padre nel vittorioso assedio di Siracusa. Nel 1089 o agli inizi del 1090 “celebrò nozze solenni” con la Del Vasto sorella della terza moglie del conte Ruggero (come rimarca Malaterra, a Giordano il padre aveva dato “terra e moglie”) e si reca a Noto “per ricevere la città dai cittadini arresi. Giordano, secondo le istruzioni del padre, ricevette la città, fortificò il castello e lo dispose al servizio del padre”.

Nel 1090 il Gran Conte, infaticabile malgrado i suoi 59 anni, progetta di assaltare Malta. “Giordano, il figlio del conte, mentre si allestiva la flotta – narra Goffredo Malaterra – pensava che il padre non sarebbe andato a Malta, e che avrebbe affidato a lui il compito di guidare l’esercito. Invece il conte, nel momento in cui arrivavano le navi, lo mandò a chiamare e gli comandò di rimanere in difesa della Sicilia con gli uomini che avrebbe scelto; e di non osare aggredire alcuna città o castello, fino al suo ritorno da Malta; anzi, che rimanesse in un castello, pronto a soccorrere, se necessario, qualunque parte della Sicilia, sostenendo così la sua impresa. Giordano, sentendo che il padre gli aveva ordinato incarichi così diversi da quelli che lui aveva sperati, rimase attonito per la meraviglia, e tentò di dissuadere il padre dal suo proposito, e tra le lacrime proclamò che sì grande fatica venisse piuttosto affidata a un giovane, con il suo permesso, e che il padre, essendo ormai quasi alla fine della sua carriera militare, godesse di tranquilli svaghi, ristorando il corpo da tante sopportate fatiche, e che sarebbe di minor danno se in tale pericolo morisse lui, giovane di minore importanza, anziché un uomo di tanto valore e di tanta saggezza.

Ruggero si adirò alle parole del figlio e lo rimproverò alquanto alla presenza di tutti; replicò che né il figlio né alcun altro sarebbe mai stato mandato dove il padre non aveva voglia di andare e che come voleva essere il primo a possedere e distribuire, così era conveniente che fosse il primo a conquistare. E così il conte si imbarcò tra le lacrime di chi rimaneva in apprensione verso chi partiva”. Insomma, niente sogni di gloria per Giordano in quel di Malta.

Appena due anni dopo la vita dell’irruento trentottenne Giordano giunge al capolinea. Ancora Goffredo Malaterra: “Ci sono alcuni che ebbero tale affetto verso colui di cui si parla che, quando si ricorda in loro presenza l’accaduto, non possono trattenere le lacrime come se si trattasse di un avvenimento recente. Infatti il figlio del conte, Giordano, a tutti caro per il suo valore e che tutti consideravano il futuro erede del conte – perché la lebbra aveva ormai rapito Goffredo e non c’erano altri maschi (di Goffredo scriveremo in avanti, n.d.a.) – fu colto da febbre sinoca (febbre infiammatoria continua, n.d.a.) a Siracusa, città di sua giurisdizione. Quando il padre lo seppe, accorse lì sperando di arrivare prima che morisse, ma per l’aggravarsi della malattia, la morte fu più veloce del padre. Quando Ruggero giunse in città e scorse i riti funebri per il figlio, fu preso da un intollerabile dolore; e anche quelli del seguito, partecipi del dolore, vennero presi dal pianto; e molti si commuovevano più per il patimento del padre che per la morte di Giordano. Lamenti e pianto si sparsero per tutta la città, tanto che il senso di pietà toccando anche gli stessi Saraceni, che pure ci odiano, li spingeva al pianto non tanto per amore quanto per il cordoglio dei nostri. E così il conte, stabilendo degni funerali, trasportò la salma a Troina per seppellirla nel portico di San Nicola, conferendo per la salvezza della sua anima molti benefici a questa, ma anche ad altre chiese; e ciò nel 1092”.

La sepoltura della salma a Troina è stata messa in dubbio da qualche studioso. C’è chi ritiene che sia avvenuta nella chiesetta basiliana di Santa Maria a Milì San Pietro, nel Messinese, dove, incorporata in una parete di una masseria si poteva vedere la lapide che ricorda la morte e la sepoltura di Giordano. Lapide ora scomparsa e tesi svanita come una bolla di sapone. Giordano a Troina è di casa ed ha un senso la sua sepoltura nella roccaforte siciliana di Ruggero. Non si comprende viceversa che senso avrebbe la sepoltura nell’ignoto villaggio di Milì San Pietro.

Piuttosto c’è da sciogliere un nodo secolare: dov’è il “portico di San Nicola” a Troina? Due chiese, tuttora esistenti, sono dedicate a San Nicola: San Nicolò alla Piazza, contigua all’attuale Istituto Oasi, e San Nicolò a Scalforio. In più, secondo lo storico locale frate Antonino (1710), esisteva una chiesa di San Nicolò nel tempo normanno nella parte nord dell’edificio degli “Angeli”. Con l’espressione “portico di San Nicolò” potrebbe intendersi il fabbricato del sottopassaggio del campanile della chiesa di San Nicolò a Scalforio, che in origine era peraltro una delle porte della città normanna? La comune radice dei termini “porta” e “portico” potrebbe indurre a questa conclusione. Ma anche nella zona absidale della chiesa di San Nicolò alla Piazza sono presenti evidenti tracce di architettura normanna, in particolare un ampio arco da tempo murato con la tipica ogiva normanna. A complicare il rebus c’è da aggiungere che qualche altro storico della conquista normanna scrive che Giordano venne sepolto “nella cattedrale” di Troina. Il luogo della sepoltura di Giordano nella nostra cittadina rischia di restare un mistero irrisolto. A meno di nuove prove documentali o archeologiche.

 

Eremburga la seconda moglie “fattrice” e un numero imprecisato di figli

Vedovo di Giuditta, Ruggero – 45 primavere sulle spalle – è già un uomo maturo negli anni per quei tempi e super-impegnato nelle scorribande e nelle conquiste. Ha più figli naturali e in particolare nei riguardi di uno di loro, Giordano, nutre affetto e dimostra comprensione, come abbiamo accertato. Ma non ha ancora un erede legittimo che regolarizzerebbe la successione dei suoi domini. La vedovanza non può che durare poco. Un anno dopo la dipartita di Giuditta infatti si risposa, nel 1077, ancora con una nobildonna della sua stirpe normanna, Eremburga di Mortain, figlia del conte normanno Guglielmo di Mortain e di Matilde di Montgomery. Eremburga, Gran Contessa di Sicilia dal 1080 al 1089, secondo alcune fonti diede al marito due figli e sette figlie. Secondo altre e più accreditate oltre che ricorrenti fonti storiche, invece, partorisce solo (si fa per dire) sei figli. Ma qualcuno sostiene che siano sette o otto. Proveremo in questo lavoro a mettere un po’ di ordine nella nuova “infornata” di Altavilla messi al mondo con la moglie Eremburga dal prolifico Gran Conte. E in ogni caso a formulare alcune ipotesi se non storiche quanto meno logiche.

Cominciamo da Malgerio. Finalmente un figlio maschio da un matrimonio e non da una relazione extramatrimoniale dopo le quattro femmine avute da Giuditta. Il padre conferì al bambino, oltre che il nome di un suo fratello, il titolo di “Conte di Troina”. Di salute cagionevole, purtroppo anche lui morì giovanissimo, ventenne o giù di lì. Dopo il 1098 ma non si sa con precisione quando.

Anche della seconda figlia concepita da Ruggero ed Eremburga – Matilda – non si sa praticamente nulla. Forse morta bambina?

Della terzogenita Muriella (in francese Muriel de Hauteville) si ignora la data di nascita – sicuramente qualche anno dopo il 1080 – ma si conosce quelle di morte, il 1119. Dunque anche per lei una vita molto breve come per quasi tutti gli eredi del conte Ruggero, conclusasi prima ancora che Muriella raggiungesse i quaranta anni. Muriella andò in sposa a uno dei fedelissimi del sovrano normanno, Giosberto de Luci, appartenente a uno dei più importanti lignaggi della Normandia ducale, che aveva possedimenti terrieri in Sicilia nei dintorni di Termini Imerese, Vicari e nella Calabria meridionale nei pressi della residenza del Gran Conte Ruggero a Mileto. Dal matrimonio di Giosberto e Muriella nacquero almeno due figli: Bartolomeo de Luci – conte di Paternò dal 1194 al 1200, conte di Butera e Maestro Giustiziere della Calabria – e Alfonso de Luci.

Una quarta figlia, Costanza, nasce nel 1082 e, tredicenne, nel 1095 convola a nozze con Corrado, re d’Italia e figlio dell’imperatore tedesco del Sacro Romano Impero Enrico IV. Una dimostrazione di come la “diplomazia dei matrimoni” del nostro Gran Conte normanno riesca ormai a volare alto, a livello europeo, nella creazione di intrecci e alleanze politiche. Dopotutto è anche vero che Costanza è sorellastra maggiore del futuro re Ruggero II di Sicilia e quindi gli Altavilla sono già nel novero delle dinastie più importanti d’Europa. Tra una battaglia e l’altra, tra una conquista e l’altra ne hanno fatto di strada gli squattrinati Hauteville, partiti come mercenari e predoni, saliti nella scala dei casati nobiliari ed approdati infine al trono reale di Palermo. Ma nel 1095, quando Costanza contrae matrimonio con Corrado, il futuro re Ruggero II deve ancora nascere. Sta per essere concepito o se ne sta nel pancione della mamma Adelasia perché verrà alla luce il 22 dicembre di quell’anno. Di Ruggero II scriveremo diffusamente più avanti.

Intanto vediamo cosa la vita riserva alla adolescente Costanza.  Corrado di Lorena è figlio ed erede dell’imperatore Enrico IV e della prima moglie Berta di Savoia. Il matrimonio fu combinato da papa Urbano II – il pontefice che venne a Troina nel 1088 a prendere accordi con Ruggero – il quale, all’epoca, cercava un’alleanza con il Conte di Sicilia. Non si conoscono figli nati da questa unione tra i Lorena e gli Altavilla. Corrado fu re co-reggente di Germania dal 1087 al 1098 e re co-reggente d’Italia dal 1093 al 1098. Nel conflitto tra Enrico IV e papa Urbano II, Corrado si schierò con il Papa contro il padre. Poco dopo il Concilio di Piacenza del 1095, Corrado giurò fedeltà ad Urbano II a Cremona e servì come Palafreniere pontificio, guidando il cavallo del Papa in segno di umiltà.

 

Matrimoni reali

Siamo ad un ennesimo capitolo di quella che lo storico Pasquale Hamel definisce “la politica matrimoniale” del Gran Conte Ruggero. Ecco nella ricostruzione di Goffredo Malaterra le premesse e la cronaca del matrimonio tra Corrado e Costanza: “Intanto fra il papa Urbano (ricordiamo che Urbano II è di nazionalità francese, Oddone di Lagery il suo nome, n.d.a.) ed Enrico imperatore di Germania erano nati dei contrasti, e certe controversie anche fra Corrado, figlio di Enrico, e il padre, ma sarebbe lungo raccontarlo. Corrado, irato, si allontanò dal padre e si rivolse al papa e alla marchesa Matilde, che era vassalla del papa (si tratta della famosa e potente Matilde di Canossa che nel gennaio 1077 aveva umiliato l’imperatore Enrico IV padre di Corrado, n.d.a.) e con il loro aiuto soprattutto viveva da ribelle in Italia. Ma poiché era giovane e scapolo e non aveva i fondi necessari per le sue intraprese, dietro suggerimento del papa e della predetta marchesa Matilde, per il tramite del conte Corrado, che incaricarono di questa ambasceria, chiese in sposa la figlia del conte di Sicilia e di Calabria. Anche il papa indirizzò lettere a Ruggero, suo intimo amico, esortandolo a concedere il matrimonio, dicendo che per lui sarebbe stato di grande onore e di vantaggio per i discendenti, se la figlia si fosse maritata con il figlio di un imperatore. E il giovane, fedele alla santa Romana Chiesa, ma povero di mezzi per contrastare il padre che lo avversava ingiustamente. (…)

Il conte, ricevuta la legazione e lette attentamente le parole esortative del papa, si consultò con i suoi, e specialmente con Roberto, vescovo di Troina, con il quale, essendo italiano e buon conoscitore di quelle regioni, esaminò ogni punto dell’accordo: concesse quanto gli si chiedeva e fece confermare da entrambe le parti con un giuramento l’esecuzione del patto. E così, stabilito il giorno delle nozze, il conte Corrado, carico dei doni ricevuti dal conte Ruggero, si affrettò a ritornare donde era venuto. La concessione delle nozze allietò moltissimo il suo signore, ansioso per l’esito dell’ambasceria. Il conte Ruggero predispose il necessario per questa incombenza e fece condurre con una flotta la figlia, carica di molti doni, fino a Pisa, accompagnata dal vescovo di Troina e da molti altri baroni: lì il figlio del re le andò incontro e la ricevette con ogni onore, e nel 1095 si celebrarono solenni nozze, dispensate secondo il rito”.

Nell’aprile 1098, dopo tre anni di conflitto con il figlio, Enrico IV reagì ritrattando le proprie posizioni dinanzi al parlamento imperiale, il Reichstag di Magonza, deponendo Corrado e designando il figlio più giovane Enrico V come successore. Dopo la deposizione Corrado II non ebbe più quasi nessuna influenza sulla politica italiana. Il suo alleato più importante, papa Urbano II, morì il 29 luglio 1099, e con lui se ne andarono le speranze di restaurazione. Corrado morì il 27 luglio 1101. Costanza non si risposò e visse gli anni successivi in relativa oscurità fino alla morte, avvenuta in un anno tra il 1135 e il 1138.

Anche una altra figlia di Eremburga e Ruggero sposa un re e diventa regina consorte d’Ungheria. Felicia Busilla secondo alcuni autori potrebbe essere non minore ma di qualche anno più grande di Costanza. Sarebbe nata infatti nel 1078. Nel 1096 – quando è diciottenne, età da matrimonio – il re di Ungheria Colomanno invia i suoi ambasciatori per chiedere la mano di Busilla al padre. Ruggero dapprima rifiutò non ritenendo vantaggiosa la proposta. Infine Colomanno incarica il duca Álmos che convinse il conte e portò la sposa in Ungheria. Il matrimonio venne celebrato nel 1097 a Székesfehérvár, la città in cui avevano luogo le incoronazioni dei re ungheresi. Busilla diede al marito quattro figli: Sofia (1100-1125), che sposò un nobile ungherese di nome Saulo; Stefano (1101-1 marzo 1131), succeduto al padre; Ladislao (1101-1112), gemello di Stefano morto dopo pochi mesi dalla nascita; una figlia (1102-?), che sposò il principe Vladimiro di Halicz.

Busilla si spense, al solito piuttosto giovane come quasi tutti gli eredi Altavilla, nel 1102 e venne sepolta nella basilica di Székesfehérvár. Suo marito si risposò con Eufemia di Kiev.

Malaterra dedica ampio e compiaciuto spazio alla descrizione delle vicende che portarono Busilla a sedere accanto al marito sul trono ungherese. Vicende dalle quali emerge come Ruggero, pur non avendo una corona regale sul capo, tratti e sia trattato con lo stesso prestigio e lo stesso rango di un monarca: “Intanto Colomanno, re degli Ungari, conoscendo la fama di Ruggero, glorioso conte di Sicilia, inviò dei legati con i quali chiedeva che gli fosse concessa in moglie una delle figlie. Il conte, sebbene gli ambasciatori fossero persone di tutto rispetto, tuttavia li congedò con i dovuti modi, e insieme ad essi mando alcuni dei suoi, perché non venisse ingannato (la ferita dello scandalo che aveva mandato in fumo nel 1086-1087 le nozze tra la figlia Emma e il re di Francia Filippo I evidentemente ancora sanguina…, n.d.a.), chiedendo che il re degli Ungari, se volesse proseguire la sua richiesta, per conferma, mandasse persone di una certa autorità o grado, cui prestare maggiore fiducia. Il re, anelante di proseguire la trattativa, mandò Arduino, vescovo di Giovi e il conte Tommaso per rinnovare la richiesta. Ruggero li ricevette con i dovuti onori, li trattenne con sé e mandò in Pannonia alcuni dei suoi tra i più prestigiosi e abili, ed esigette che alla loro presenza i maggiorenti di quella nazione sottoscrivessero con giuramento la richiesta. Il re acconsentì e tramite un suo duca, di nome Alivo, e altri di non minore dignità, firmò con giuramento quanto gli si chiedeva di compiere. Quindi, munificandoli, congedò i legati del conte, chè annunziassero la conferma del patto.

Allora il conte, sentita la relazione dei suoi, non diversamente munificò e licenziò i legati del re, al quale comunicò il giorno stabilito in cui avrebbe inviato sua figlia. E così, nel 1097, nel mese di maggio, preparato il necessario, inviò a Termini il vescovo di Leocastro, Enrico e la fanciulla scortati da trecento soldati; da lì proseguirono per mare verso Palermo. Qui si prepararono le navi, venne imbarcata la fanciulla con molti doni di nozze, si affidarono le vele ai venti che soffiavano propizi, e le navi approdarono senza problemi ad Alba che era sotto la giurisdizione del re degli Ungari. Qui Vincurio, conte di Bellegrata, andò incontro con cinquemila soldati e accolse con i dovuti onori la fanciulla insieme con i suoi accompagnatori e la condusse al re.

Le nozze vennero annunziate da banditori in tutta la Pannonia e da ogni parte si occorse con doni. Per quanto il re normalmente fosse circondato da schiere numerose, la notizia della nozze e la curiosità di vedere la nuova regina, richiamarono una insolita e straripante folla. Nel giorno stabilito, alla presenza degli arcivescovi, dei vescovi e di altri religiosi, venne mostrata in pubblico, secondo il cerimoniale di corte, la dote della fanciulla, il re e la regina si sposarono secondo il rito cattolico, e si celebrarono nozze solenni in un accampamento di tende costruite con rami verdeggianti. Infatti non c’erano palazzi bastevoli a ospitare simile folla. Concluse le nozze con pompa regale, il re per qualche tempo ospitò presso di sé il vescovo di Leocastro e il suo seguito. Quando furono pronti per la partenza, li congedò con ricchi doni”.

Veniamo adesso a Giuditta, altra figlia di Ruggero ed Eremburga. Non è nota la data di nascita. Si presume intorno al 1070 o alcuni anni dopo. Un particolare da evidenziare: le venne dato il nome dalla prima moglie di suo padre, Giuditta d’Evreux. Anche questo – darle il nome della prima moglie – potrebbe essere un indizio del sentimento che legava l’allora giovane Ruggero alla amata Giuditta.

Nel 1110 il fratellastro Ruggero II di Sicilia dà in sposa Giuditta, già avanti negli anni per quei tempi, ad un suo fedele vassallo, Roberto I di Bassavilla. Grazie a questo vincolo matrimoniale, suo marito riceve nel 1134 la contea di Conversano, in Puglia, divenendo un potente vassallo di Roberto II duca di Puglia.

Con Giuditta dovrebbe concludersi la “figliolanza” accertata di Ruggero ed Eremburga. Usiamo il condizionale perché qualche altro autore introduce un altro nome, anzi due: Violante e Sibilla. Torneremo su questa ipotesi nei paragrafi conclusivi di questo lavoro.

 

La terza moglie Adelasia del Vasto

Anche Eremburga di Mortain si spegne, con probabilità nel 1087 o l’anno successivo, e il Gran Conte di Sicilia rimane vedovo per la seconda volta. Per i tempi è piuttosto anziano, 56 o 57 anni. Ma il nodo della successione resta ancora irrisolto. L’erede legittimo maschio c’è, Malgerio, conte di Troina, un bambino di poco meno di 10 anni. Tuttavia se verrà meno a causa della sua salute molto cagionevole – come in effetti si verificherà una decina di anni dopo o poco più – che ne sarà delle conquiste e dei domini in Sicilia e Calabria? Forte tempra, il Gran Conte, a cui malgrado l’età non manca l’appetito sessuale e la capacità fisica di fare fronte ai suoi doveri coniugali – o forse sarebbe più corretto affermare ai sui diritti coniugali… – ha ancora vitale bisogno di figli, in particolare di figli maschi. Non perde tempo e si risposa per la terza volta nel 1089. Il talamo nuziale, come si comprende, sembra in quell’epoca quasi una scrivania fondamentale della politica. Come lo sono le armi, gli armati, la diplomazia, la religione, le finanze, il cibo e le risorse provenienti da campagne e feudi.

La prescelta risponde al nome di Adelasia del Vasto (o Adelaide o Azalais) nata in Piemonte o Liguria nel 1074. Una quindicenne e un vecchio cinquantottenne. Altro che pedofilia. Ma una remora così rivoltante per la nostra mentalità allora – complice la breve durata media della vita – neppure si poneva. Una differenza di 43 anni separa i due sposi. Sono numeri per noi impensabili.

Adelasia era figlia dell’aleramico Manfredi (o Manfredo), fratello di Bonifacio del Vasto, marchese di Savona e della Liguria Occidentale. Il matrimonio ha luogo a Mileto suggellando così un’alleanza tra aleramici e normanni.

Adelasia giunse al porto di Messina in pompa magna su navi da cui sbarcarono dote, scorta e un nutrito seguito di conterranei piemontesi che l’avevano seguita per insediarsi nella parte centro-orientale dell’isola. Fu una prima avanguardia di un flusso migratorio poi massicciamente favorito per decenni fino al XIII secolo, ancora oggi testimoniato dall’esistenza di alcune isole linguistiche alloglotte nel cuore della Sicilia, chiamate colonie lombarde, dove si parla un antico dialetto gallo-italico. Flussi e riflussi storici vichiani: nel XX e XXI secolo dalla Sicilia non facciamo altro che emigrare, nell’XI e nei due secoli successivi al contrario si veniva in Sicilia a cercare fortuna.

Adelasia del Vasto viene ritenuta da molti storici una delle donne più importanti della storia della Sicilia.  Disponiamo di copiose informazioni su questa nobildonna energica e determinata. Un interessante, ben documentato ritratto di Adelasia – ricco di sfumature, descrizioni, retroscena – è tracciato dalla storica e saggista Maria Oliveri:

“Juvencula honestae admodum faciei”, fanciulla di aspetto gradevole, così Goffredo Malaterra, biografo ufficiale del conte Ruggero d’Altavilla, descriveva Adelasia nel giorno delle sue nozze. Ben diversamente, anni prima, il cronista normanno aveva indugiato compiaciuto sulla bellezza della prima moglie di Ruggiero, Giuditta d’Evreux, e aveva fatto chiaro riferimento all’impazienza dello sposo nell’impalmare la fanciulla.

Adelasia del Vasto non era dunque particolarmente bella ma fu una donna coraggiosa, forte e determinata, preziosa collaboratrice del marito, abile tessitrice del futuro dei suoi eredi.

Nei documenti ufficiali la contessa di Sicilia, reggente per i figli dopo la morte del marito, era denominata “callida mater” (donna accorta) e “mulier prudentissima” (donna di buon senso); per i sudditi islamici era “malikah”, titolo che apparterrà negli anni successivi al figlio Ruggero: “al malik”, il sovrano assoluto e vero re.

Le origini familiari di Adelasia sono state oggetto di molte controversie fra gli studiosi. Figlia del marchese Manfredi del Vasto, sarebbe nata forse in Piemonte, intorno al 1075 (secondo i calcoli dello storico Hubert Houben). Secondo il Malaterra, alla morte del padre, nel 1079, sarebbe stata spogliata dei suoi beni dallo zio Bonifacio e sarebbe fuggita in Sicilia. Sembra più verosimile che Bonifacio sia stato il tutore dell’orfana Adelasia e che ne abbia combinato il matrimonio con Ruggiero d’Altavilla, conte di Sicilia e di Calabria, vedovo dal 1087 della seconda moglie, Eremburga. Nel 1089 dunque, poco più che adolescente, Adelasia sposò a Mileto, in Calabria, il conte Ruggiero, uomo ormai maturo (si ipotizza tra i 50 e i 60 anni) che era già al terzo matrimonio, suggellando un’alleanza tra aleramici e normanni. (…)

Incoraggiando l’immigrazione dei Lombardi Adelasia partecipò al processo di ricostituzione dell’elemento latino in Sicilia: fu una ricchezza per l’isola in termini di crescita economica, demografica e linguistica.

Ruggiero nel 1089, all’epoca delle nozze con Adelasia, aveva già una decina di figli, legittimi e illegittimi, ma come sottolineò Goffredo Malaterra, la prima gravidanza della terza moglie fu comunque accolta con giubilo: “Prega il padre e anche la madre che sia maschio”. Adelasia diede a Ruggiero quattro figli: Simone, Matilde, Ruggiero, Maximilla. Rimase sempre al fianco del marito, accompagnandolo nei suoi spostamenti e nelle campagne militari in Campania e in Puglia; nonostante la giovane età si rivelò una compagna saggia e autorevole: il suo nome compariva spesso nei documenti ufficiali.

Ruggiero si spense a Mileto, all’età di circa settant’anni (…) e alla sua morte prevalsero nella successione Simone e Ruggiero, i figli avuti dalla terza moglie.

Adelasia, rimasta vedova dopo 12 anni di matrimonio, divenne reggente della Contea di Sicilia, prima in nome del figlio maggiore Simone, di 8 anni, malaticcio e debole, che morirà nel 1105 a 15 anni e poi per il figlio Ruggiero che si emanciperà nel 1112 e diventerà re di Sicilia nel 1130.

La contessa si ritrovò anche a dover amministrare per un decennio una terra difficile e complessa, dove convivevano popoli diversi per lingua e religione: islamici, greci, piemontesi, lombardi, normanni, ebrei. Si circondò allora di fedeli e fidati consiglieri, tra questi ricordiamo il fratello Enrico del Vasto, responsabile del comparto militare. La reggente fu costretta infatti ad affrontare con durezza i contrasti con alcuni baroni, convinti di potersi sbarazzare con facilità di una donna.

Secondo il cronista inglese Orderico Vitale, Adelasia, consapevole delle difficoltà a cui andava incontro, avrebbe legato a se il giovane Roberto di Borgogna, dandogli in sposa una sua figliola, nonostante avesse con lui rapporti molto… “confidenziali”; delegando a Roberto il governo della Contea, sarebbe stata libera di dedicarsi solo all’educazione dei figli. Trascorsi 10 anni, Adelasia non avendo più alcuna necessità di avere Roberto al suo servizio, lo avrebbe avvelenato: gli storici però nutrono molti dubbi sulla veridicità di questo racconto.

Durante la reggenza Adelasia spostò la capitale del regno da Mileto a Messina e poi a Palermo: «La sua non fu una semplice reggenza bensì la manifestazione di un indirizzo politico» (E.Pontieri).

Risale a questo periodo anche il cosiddetto “Mandato di Adelasia”, il documento cartaceo più antico d’Europa, scritto nel 1109, in greco e in arabo, una lettera con cui la contessa ordinava ai vicecomitali della terra di Castrogiovanni (oggi Enna) di proteggere il monastero di San Filippo di Demenna. Adelasia utilizzò la carta perché non si trattava di un documento ufficiale (per il quale veniva adoperata la pergamena) ma di un atto di natura transitoria.

Quando Ruggiero II – ormai adulto – prese in consegna dalla madre le redini del governo, il Papa Pasquale II si adoperò per una nuova unione matrimoniale della contessa, con re Baldovino di Gerusalemme. Adelasia non era molto convinta di questo matrimonio, ma il Papa le promise che se non fossero nati eredi, Ruggiero sarebbe diventato Re di Gerusalemme.

Nel 1113 si celebrarono a San Giovanni d’Acri (oggi nello stato d’Israele) le nozze tra Adelasia e Baldovino. La sposa aveva una dote di tutto rispetto: nove galee, con le stive cariche di viveri e colme di tesori e con a bordo arcieri saraceni e cinquecento guerrieri.

La nuova regina di Gerusalemme si accorse subito che l’interesse del marito era tuttavia solo per la sua ricca dote. Adelasia aveva quasi 40 anni e il cronista Orderico Vitale rilevava con perfidia la ragnatela di rughe che segnavano ormai il volto dell’ambiziosa contessa al momento delle nozze.

La dote venne rapidamente dilapidata da Baldovino, in meno di un lustro, per pagare i debiti accumulati e per riguadagnare un minimo di credibilità presso sudditi e alleati. La vita a fianco di Baldovino non era come Adelasia l’aveva immaginata e un grave problema angosciava la regina: il matrimonio correva il rischio di essere annullato, perché il re risultava ancora legato alla seconda moglie Arda, figlia di un piccolo nobile armeno, costretta dal marito a prendere i voti presso il monastero di Sant’Anna, forse a causa di un tradimento, o a causa di sterilità.

Nel 1117, sotto le pressioni del patriarca Arnolfo e in seguito ad una grave malattia del re, un sinodo decretò nullo il matrimonio tra Adelasia e il re di Gerusalemme, malgrado Baldovino non fosse favorevole a rinunciare alla preziosa alleanza con i Normanni di Sicilia. Il 13 aprile Adelasia partì per tornare in Sicilia. II ritorno a casa fu mesto e pieno di sconforto, dopo il ripudio e il fallimento dell’ambizioso progetto politico per suo figlio Ruggiero.

Un anno dopo il rientro in Sicilia Adelasia moriva in un convento di Patti, dopo molte sofferenze, il 16 aprile 1118. Le sue spoglie vennero tumulate nella cattedrale di Patti, dove ancora oggi si ammira la tomba in stile rinascimentale che ha ispirato Vincenzo Consolo: “Quindi Adelasia, regina d’alabastro, ferme le trine sullo sbuffo, impassibile attese che il convento si sfacesse”. (Maria Oliveri “Fu contessa di Sicilia e regina (ripudiata) di Gerusalemme: la storia di Adelasia del vasto” in “Balarm”, 23 gennaio 2023).

È il caso di tornare sulla complicata questione delle origini familiari di Adelasia del Vasto, oggetto di molte controversie fra gli studiosi di genealogie. Già Orderico Vitale la diceva erroneamente filia Bonefacii Liguris. Gli storici danno però credito a Goffredo Malaterra, biografo ufficiale del conte Ruggero d’Altavilla, che la indica come: nepotem Bonifacii, famosissimi Italorum marchionis, filiam videlicet fratris eius. Secondo le cronache siciliane Adelasia sarebbe stata spogliata dei suoi beni dallo zio e sarebbe fuggita in Sicilia. La vicenda del re che sposa una povera orfanella potrebbe però essere leggendaria. Sembra più verosimile che dopo la morte nel (1079) di Manfredi del Vasto, padre di Adelasia, e di Anselmo, fratello di Manfredi, Bonifacio sia diventato tutore di Adelasia e ne abbia combinato il matrimonio nel 1089 (e per questo Orderico lo indica come padre). Per il matrimonio sarà stata versata una congrua dote in quanto era parte di ampi rapporti diplomatici, commerciali e militari fra gli Aleramici e i Normanni.

Tuttavia, secondo la legge salica, seguita dagli aleramici Del Vasto, la terra era proprietà (spesso indivisa) dei soli figli maschi; Adelasia non poté quindi portare in dote feudi piemontesi e ciò spiegherebbe la leggenda della sua spoliazione. Il fratello di Adelasia, Enrico del Vasto, compare nel 1097 assieme a Bonifacio in una donazione alla canonica di Ferrania nel retroterra savonese, dimostrando così che i propri diritti ereditari erano ancora in vigore. Una sorella di Giuditta e di Enrico, come abbiamo già scritto, sposò Giordano, figlio illegittimo di del Gran Conte Ruggero I.

Come nota E. Pontieri alla voce Adelasia del Vasto nel “Dizionario biografico degli Italiani” della Treccani: «Alla conclusione di tali matrimoni non furono estranei moventi di ordine politico: Ruggero I veniva insediando gli immigrati in una zona della Sicilia gravitante intorno all’Etna, zona che stava a cavaliere tra l’area occidentale abitata da Arabi e quella orientale popolata da Greco-Bizantini. Era suo interesse legare alla dinastia e ai conquistatori franco-normanni l’affine elemento italico, in cui primeggiavano i del Vasto, e fare di questi elementi etnici di origine latino-germanica un contrappeso agli altri due elementi, l’arabo e il greco, esistenti nell’isola».

 

Dalla Contea al Regno: ordinamento, religione, società, economia nella Sicilia normanna

I due Altavilla, Ruggero I e anni dopo Ruggero II, daranno man mano una impronta sempre più evidente ai loro domini prima comitali e poi reali. Ecco i tratti essenziali del nuovo ordinamento (statuale, politico, religioso, economico, sociale, demografico) nella Sicilia dei Normanni.

“I Cavalieri normanni, a differenza degli Arabi, non si erano portati dietro masse di immigrati attratti dalla speranza di venire in possesso di un pezzo di terra da coltivare o di una fortuna da realizzare nell’attività lavorativa. Data la mancanza di un fenomeno migratorio normanno, indirizzato verso la vicina Inghilterra, i nuovo conquistatori non ebbero da risolvere né problemi economici, né problemi sociali che chiamassero in causa gruppi di normanni. Quei pochi normanni che dalla regione francese furono fatti venire in Sicilia, furono destinati a incarichi dirigenziali. Per rafforzare l’elemento cristiano latino che in Sicilia era minoritario rispetto al cristianesimo di rito greco bizantino, i governatori normanni aprirono le porte a un’emigrazione proveniente dall’Italia centrale e settentrionale, soprattutto dalla Lombardia e dal Piemonte.

Agli inizi della formazione dello Stato normanno non c’erano i grandi latifondi cerealicoli, che erano stati eliminati dalla dominazione musulmana, spezzettando le terre in tanti piccoli e medi appezzamenti. Questo avvenne nei primi due secoli della dominazione musulmana. Nell’ultimo cinquantennio la proprietà della terra si era accentrata nuovamente a favore di grandi famiglie musulmane. (…) Anche dopo l’arrivo dei normanni vaste zone rimasero di proprietà di queste famiglie.

I normanni introdussero in Sicilia il sistema feudale che da tempo si era affermato in Francia e che nell’isola non si era potuto affermare in quanto estraneo alla mentalità musulmana. Non fu una scelta ideologica ma una necessità politica. Infatti i Normanni nell’isola era pochi e per poter controllare il territorio avevano bisogno di un sistema come quello feudale.

Le confische e concessioni delle terre dovettero avere un’ampiezza tale da determinare un massiccio spostamento di ricchezza a favore dei vincitori, soprattutto nel Val Demone dove si concentrarono le più vaste signorie fondiarie normanne. Invece nella Sicilia occidentale, in Val di Mazara, la più islamizzata dell’isola e dove i ceti dirigenti erano saraceni, che non erano fuggiti in Africa e in Spagna, avevano contrattato la resa, molti erano riusciti a conservare tutti o buona parte dei patrimoni fondiari. I feudi furono assegnati ai più fidati cavalieri degli Altavilla, con lo scopo di creare una gerarchia di poteri autonomi quanto fosse necessario per potere controllare e governare la popolazione di ciascun feudo, ma sempre in linea con l’ordinamento politico degli Altavilla.

La gerarchia del potere feudale aveva al vertice il monarca, nel caso specifico Ruggero. Quindi, come suoi vassalli, venivano i conti, titolari di grandi possedimenti, scelti tra i parenti del monarca. Al di sotto dei conti ci sono cavalieri e baroni. È difficile distinguere i due termini, in quanto spesso venivano usati indistintamente. Sembra che con il termine barone si solesse indicare il cavaliere designato per la difesa di un castello. I cavalieri, di regola, prendevano il nome del castello e si spiega così l’abbondanza di patronimici di modeste famiglie cavalleresche derivanti dai toponimi di importanti fortezze.

Nella gerarchia del potere feudale rientravano anche i patrimoni ecclesiastici. Infatti Ruggero, subito dopo la conquista, ripristinò la gerarchia ecclesiastica che si era dissolta durante la dominazione musulmana. Pertanto creò i vescovati di Troina, Messina, Catania, Siracusa, Agrigento, Mazara, Lipari, Patti, Palermo, dotandoli di terre e privilegi che andavano ben oltre i loro bisogni. I vescovi, come i baroni, avevano ampia autonomia e poteri sulle comunità della diocesi. Ruggero dotò di ampi possedimenti e di villani legati per stato alla terra anche i monasteri, sia quelli benedettini di rito latino, che (come a Troina, n.d.r.) quelli basiliani di rito greco. Il granconte promosse la costruzione di centri monastici basiliani soprattutto in Val Demone, dove la presenza basiliana era consistente.

E tutti, conti, baroni, vescovi e abati nei loro possedimenti godevano di ampia autonomia per poter svolgere verso la propria popolazione i poteri amministrativi, giudiziari e fiscali di cui erano investiti. In un tale ordinamento c’era il pericolo che tutti questi poteri si potessero ribellare al potere centrale. Cosa che accadde spesso in Puglia, dove sia Roberto sia Ruggero dovettero intervenire con energia per reprimere le ribellioni dei baroni.

In Sicilia questo pericolo, per quanto ne sappiamo, si concretizzò solo due volte. La prima volta quando, assente Ruggero, il figlio illegittimo Giordano gli si rivoltò contro con l’aiuto di alcuni baroni. La seconda volta quando i baroni del Val Demone si ribellarono e conquistarono il castello di Focerò (nel Messinese, n.d.a.). In questo caso i ribelli pensavano di potersi approfittare della circostanza che, morto Ruggero, come reggente dello Stato normanno c’era una donna, la moglie Adelasia. Questa però si dimostrò energica quanto il marito e più del marito implacabile contro i ribelli.

Per ridurre questi rischi Ruggero assoggettò i suoi feudatari a pesanti restrizioni. Per prima cosa, le contee e i grandi possedimenti erano consentiti solo ai suoi parenti più prossimi. Secondariamente l’alienazione dei fondi richiedeva il suo consenso. Infine, una pesante e asfissiante burocrazia controllava tutto.

Smantellato lo Stato musulmano, per Ruggero c’era la necessità di dare vita, per la costruzione di uno Stato efficiente, a funzionali ordinamenti amministrativi e finanziari. Alla costruzione di questi ordinamenti contribuirono elementi musulmani della passata amministrazione ed elementi bizantini largamente presenti in Calabria (ma presenti anche in Sicilia, seppure in numero meno consistente, n.d.a.).

Completata la conquista della Sicilia, Ruggero, con lungimiranza politica, lasciò nei loro incarichi i funzionari musulmani disposti a collaborare, senza modificare la struttura di stampo musulmano. Tant’è che alcuni storici definiscono lo Stato creato da Ruggero un tipico Stato islamico governato da una dinastia normanna. Per prima cosa lasciò immutata la divisione amministrativa dell’isola nei tre Valli creata dai musulmani: il Val di Mazara, il Val di Noto e il Val Demone.

L’innovazione politica più importante di Ruggero fu la creazione di un’assise, una sorta di Parlamento, che poi nel 1140 sarà proclamata come un vero e proprio Parlamento. La prima assise fu convocata da Ruggero I presso Mazara nel 1097. Era costituita da tre rami che rappresentavano la struttura politico-sociale della Sicilia Normanna: il ramo feudale era rappresentato dai nobili delle contee e delle baronie, quello ecclesiastico da vescovi e abati; infine il ramo demaniale era costituito dai rappresentanti delle 42 città demaniali (tra cui Troina, n.d.a.). In questa prima versione il Parlamento aveva solo funzioni consultive. Con Ruggero II il Parlamento ampliò le sue funzioni, ma sarà solo con Federico II che il Parlamento siciliano avrà competenze legislative, divenendo così il primo Parlamento di tipo moderno del mondo.

Ai collaboratori più autorevoli di Ruggero vengono assegnati titoli e funzioni della tradizione araba e bizantina. L’Amiratus era il funzionario che oggi chiameremmo Capo del governo. Il Protonotaro aveva compiti finanziari, come la stesura e l’aggiornamento del catasto. Il Logoteta era, nel suo significato originario, il Revisore dei Conti. Finì col rappresentare il Ministro delle Finanze. Il Camerario era l’amministratore dei beni privati del sovrano. Lo Stratega era il comandante militare. Il Cadì era colui che amministrava la giustizia.

Ogni ufficio faceva capo alla Curia, l’ufficio più importante della Corte. La Curia era provvista di una Cancelleria formata da notai in grado di redigere documenti in arabo, greco e latino. (…) Gli uffici finanziari, soprattutto il catasto, si richiamavano alla tradizione musulmana. (…) L’influenza islamica non si esauriva nell’ordinamento finanziario. Basta ricordare che al primo governatore di Palermo, nominato da Roberto subito dopo la conquista della città, fu dato il titolo di Emiro, con le stesse funzioni civili e militari dell’Emiro musulmano.

Infine Ruggero non cambiò nulla per quanto riguardava la moneta. Le zecche continuavano a coniare monete uguali a quelle del passato senza nemmeno curarsi di modificarne grafica e aspetto. La lingua è quella araba, anche se presto appariranno anche scritte greche e latine. (…) Tutto questo dimostra che Ruggero stava creando uno Stato ben organizzato e pacifico, dove fra la popolazione non c’era nessun risentimento per le passate divisioni e quindi nessuna ritorsione. Musulmani ed Ebrei vivevano accanto ai Cristiani come se non ci fosse stato alcun trambusto politico e religioso (…)”. (Queste notizie sono riprese da “La Sicilia normanna. La conquista. Quinto Capitolo” in www.LUTEMilazzo.it.)

 

I figli Simone, Matilde, Ruggero, Maximilla

I figli tuttavia tarderanno ad arrivare per il vecchio conte e la sua sposa fanciulla. Solo quattro anni dopo le nozze, nel 1093, viene alla luce a Palermo il tanto agognato erede maschio da affiancare a Malgerio, per il quale però viene sempre tenuto un basso profilo nelle cronache del tempo; di fatto ignorato, con molta probabilità per i motivi di salute. E questo ci pone più di una domanda: quali erano i problemi di salute di Malgerio? fisici? di ritardo mentale? o cosa altro?

Al neonato erede maschio di Ruggero e Adelasia viene dato il nome di Simone. Malaterra saluta la nascita di Simone con versi di giubilo (come abbiamo segnalato, prosa e versi spesso si alternano nelle pagine del “De rebus Gestis”) che iniziano con il ricordo di Giordano: “Il padre è privato di un figlio così portato via/da una grave malattia;/Una provvidenza celeste perché non si addolori/per la mancanza della gioia di un figlio,/lo orna di altra prole, come di un fiore./Pregno e gravido gonfia il ventre della madre felice:/il nascituro s’accresce secondo i tempi di natura./Prega il padre, e anche la madre, che sia maschio./Il seme coagulando prende forma, esaudendo le speranze./Il nascituro è ormai al sicuro entro le viscere della madre./A quanti aspettavano con speranza,/il nono mese accelera il parto/nasce il neonato: gli odii siano al bando e sia letizia per tutti!/Le ostetriche sono felici al vedere gli indizi del sesso./La nascita del maschio è annunciata e provoca nuova gioia./La madre, che avverte perché si gioisce, dimentica il dolore./Ci si affretta a comunicare la lieta novella al padre/Che, supplice, offre al cielo il pio incenso e arricchisce di doni il messo./Vuole che si facciano grandi elemosine ai poveri:/il dolore forte e grave per la perdita di un figlio è lenito/e dimenticato dalla speranza di una gioia nascente./Viene chiamato Simone, ornato sulla fronte, al fonte battesimale,/con l’unzione della cresima: così si rafforza il futuro re di Sicilia./I Calabresi decidono che anche le loro forze si assoggettino a lui/e il padre lo concede ed esaudisce il desiderio”.

Simone è il successore designato di Ruggero I, Gran Conte di Sicilia, e di Adelaide del Vasto. Dopo la morte del marito, la contessa tenne la reggenza del figlio durante il suo breve regno. Appena quattro anni, dal 1101 – anno di morte di quel genitore troppo anziano che era stato Ruggero – al 1105. Ossia nel tempo in cui Simone è ancora un bambino e non può governare. E in effetti questo sfortunato ragazzino morirà appena dodicenne nel 1105 a Mileto, dove venne sepolto.

Secondo le cronache di Alessandro di Telese, durante la sua infanzia Simone incorse in un curioso incidente con il fratello Ruggero. Un episodio che alla luce dei successivi sviluppi storici appare quasi profetico:

«Come tutti i bambini, [Simone e Ruggero] stavano facendo un gioco con le monete, il loro preferito, e finirono col venire alle mani. Durante la lotta, ciascuno supportato da un proprio gruppo di amici, il più giovane, Ruggero, risultò vincitore. Egli derise il fratello Simone dicendo: «Sarebbe decisamente meglio che toccasse a me l’onore di regnare trionfalmente dopo la morte di nostro padre, piuttosto che a te. In ogni caso, quando riuscirò a farlo ti nominerò vescovo o anche pontefice di Roma – il che sarà per te la migliore delle sistemazioni.»

Dopo Simone nasce Matilde, nel 1094 o 1095. Venne data in sposa al potente conte Rainulfo di Alife, signore di diverse contee e proprietario di vaste tenute che andavano da Benevento a Montecassino. Ruggero I assegnò come dote alla figlia terre assai rilevanti strategicamente: la Valle Caudina e altre terre non lontane da Benevento fertili e ricche. Si trattava di un territorio ottenuto dal Gran Conte Ruggero I poco prima di morire e su cui voleva assicurare il suo dominio stabile attraverso il matrimonio tra la figlia e il principale eventuale nemico che potesse rivendicarne il possesso: Rainulfo. Dal matrimonio fra Matilde e Rainulfo nacquero due figli, Roberto e Alice da Golisano.

I rapporti coniugali furono assai tesi, a causa del carattere violento, degli intrighi e delle ambizioni di Rainulfo nello sfruttare il legame familiare con gli Altavilla. Forte infatti di questo legame matrimoniale, Rainulfo arrivò a chiedere al successore di Ruggero I, Ruggero II di Sicilia, fratello di Matilde, di poter ottenere altre investiture, richiesta che al momento il giovanissimo nuovo conte e cognato dovette esaudire per evitare ulteriori disordini interni.

Quando Ruggero II si recò a Salerno per rivendicare la città di Avellino e il castello di Mercogliano, occupati dal cognato Rainulfo, Matilde decise di fuggire dal fratello e portare con sé suo figlio Roberto, approfittando dell’assenza del marito impegnato a Roma. Nel maggio 1131 Matilde si imbarcò con il fratello e il seguito per la Sicilia. Il 7 giugno la contessa assistette alla posa della prima pietra del duomo di Cefalù. Presso la corte siciliana Matilde venne ricevuta con tutti gli onori e con grande affetto e, ormai al sicuro, chiese al marito la restituzione della dote.

Sulla fuga di Matilde alcuni cronisti dell’epoca riportarono il grande dolore di Rainulfo e una versione differente sull’allontanamento della moglie e del primogenito. Il conte inviò a Montefusco, ove si trovava il cognato, i propri ambasciatori per trattare la restituzione della moglie, del figlio e delle terre confiscategli ma senza successo.

In seguito, dopo la pacificazione tra marito e fratello, Matilde fece ritorno da Rainulfo, a dimostrazione di come l’allontanamento non sia stato poi così volontario. Nel 1135 suo figlio Roberto, nominato cavaliere e ormai cresciuto, combatté al fianco del padre nella difesa di Napoli.

Matilde muore orientativamente nel 1035. Sui ripetuti conflitti tra i cognati Rainulfo e Ruggero II torneremo più avanti.

Ruggero è il terzo figlio partorito da Adelasia. Nato il 22 dicembre 1095, quando suo padre aveva già 64 anni, e morto nel 1154, non solo avrà una vita sufficientemente lunga – al contrario di tanti suoi fratelli, sorelle, fratellastri e sorellastre – ma, ben più fortunato, sarà il futuro re di Sicilia Ruggero II, successore a pieno titolo del padre. Ruggero II eredita una Contea e ne farà un Regno. Tra i più importanti d’Europa. Più avanti spiegheremo le ragioni e le basi di questa importanza e, naturalmente, non potremo che scrivere diffusamente di Ruggero II.

Altra figlia nata del matrimonio di Ruggero e Adelasia è Maximilla. Si ignora con precisione la data nella quale la bambina viene alla luce – si ritiene intorno al 1089 – e anche quella di morte è incerta. Comunque in base ai documenti del tempo il decesso sarebbe avvenuto dopo il 1137. Di lei si sa solo che sposò Ildebrandino VI Aldobrandeschi. Di origine longobarda, gli Aldobrandeschi furono una nobile famiglia comitale che nel corso del Medioevo dominò vasti feudi nell’area della Maremma e del monte Amiata, ai confini tra Toscana e Lazio e nella Valle dell’Orcia senese.

La giovane ultima vedova del Conte Ruggero Adelasia dovette lottare per assicurare il domino della Sicilia e della Calabria ai figli. Morto prematuramente Simone nel 1035, tutte le speranze si concentravano su Ruggero II.

 

Documentazione, bibliografia, sitografia

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Salvatore Tramontana “L’effimero nella Sicilia normanna”, Sellerio. Palermo, 1988.

  1. A. Garufi “Adelaide e Goffredo, figliuolo del Gran Conte Ruggero” in “Rendiconti dell’Accademia di Acireale”, Serie III, Vol. VI.

 

 

Pino Scorciapino

(CONTINUA)

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