Quanto sia lontana da Messina e quindi dove si trovi Troina, lo chiede un protagonista del film di Antonioni, L’avventura, ad un giornalista che lo informa che la sua fidanzata, sparita misteriosamente da un isolotto delle Eolie, è stata vista proprio a Troina, in una farmacia del paese.
Nella Sicilia che fa da sfondo al film di Antonioni, Troina non solo è il nome di un paese sconosciuto ai più, ma è anche simbolo di una Sicilia interna, arretrata e ferma nella storia, nel progresso e nei costumi, in un’Italia che invece cambiava ed evolveva con il boom economico degli anni ’60. Boom economico che, in verità, dalle parti di Troina era arrivato all’inizio degli anni ‘50 con la costruzione della Diga dell’Ancipa. L’imponente opera edile aveva dato lavoro a centinaia di operai ma soprattutto aveva permesso al paese di accogliere gente di fuori, maestranze e tecnici, che con la loro presenza, avevano contribuito a far “girare” l’economia, ma soprattutto a far mutare la mentalità; riuscendo a creare un clima di “stato nascente” nei troinesi che ha sicuramente dato loro la voglia di fare, di rischiare, di dar vita a imprese commerciali, edili etc. con un effetto positivo di lungo periodo.
Alterne vicende, poi, nei decenni successivi, hanno caratterizzato la storia economica e sociale del paese.
Di certo, Troina, Capitale normanna e città demaniale conserva ancora, le testimonianze antiche del suo Castello e della Corte Capitanale (del primo vi sono solo parti di mura; la seconda, l’ha valorizzata un riuscito restauro), dei numerosi ordini religiosi che vi ha ospitato (di agostiniani, francescani, carmelitani le dimore sono ancora intatte, di basiliani e ospitalieri rimangono i ruderi, di benedettine e clarisse solo fotografie).
Centro dalla storia antichissima, i resti anteriori al Medioevo, sono visibili, nell’area archeologica a sud del paese (ben in vista è la cinta muraria del IV sec. a.c.).
Poi le Chiese, i Palazzi ottocenteschi e i Quartieri storici, dall’edilizia spontanea e popolare, caotica e creativa: (nelle strette e labirintiche vie di uno, dal nome che ne indica la chiara origine araba, Scalforio, ci si perde come in una casbah araba) completano il ragguardevole patrimonio architettonico e monumentale della cittadina: parecchio quello che s’è salvato, ma veramente tanto è andato sommerso.
Ma di tutto e del resto rimane senz’altro la memoria, coltivata dagli storici locali, sempre numerosi, in specie nel ‘900, e il racconto dei viaggiatori.
E se i primi hanno prodotto e producono copiose documentazioni storiche e figurative, i secondi nei loro testi hanno descritto particolari e offerto indizi che possono aiutare a scoprire meglio il luogo e a invogliare altri a ripercorrere il loro tour d’eccezione, durante il quale hanno lasciato tracce diverse del loro sguardo su Troina.
Da alcuni di loro, venuti a Troina tra gli anni ’20 e ’60 del ‘900, traiamo qualche visione e impressione. La scrittrice e giornalista americana Eliza Putnam Heaton giunse in Sicilia, nel 1920. Aveva pubblicato articoli sulle maggiori riviste culturali e letterarie degli Stati Uniti e diversi libri, tra cui quello con la storia della sua vita di giovane inglese emigrata, “The steerage: a sham immigrant’s voyage to New York in 1888”.In Sicilia venne a cercare il mondo magico e le tradizioni storiche e folkloriche di cui ampiamente aveva letto nelle riviste americane di fine ottocento, che avevano dedicato migliaia di pagine all’isola facendo resoconti e reportage sulle città importanti ma anche sui piccoli paesi dell’interno.Tra questi Troina. La Putman vi si reca per vedere e descrivere la Fiera di Giugno, “the greatest animal fair of Sicily”.
La scrittrice mostra subito il fascino che su di lei esercita il paese, in cui spira piacevolmente un’aria di allegra festosità, per le celebrazioni in onore del Santo locale, San Silvestro. Ma ciò che la impressiona è la Fiera, con il vastissimo piano in cui si svolge, con i numerosi capi di bestiame presenti e la particolare possanza e vigorosità delle tante razze di animali che con stupore descrive. Nel piano della Fiera che ha un’erba lasciata crescere per tre mesi affinché possa servire come foraggio alle numerose bestie, la Putnam è attratta dai cavalli, ma gli appaiono troppo ordinari rispetto alle migliaia di muli, lucidi e grandi ma soprattutto colorati nei panni che hanno addosso, nei loro “basti”, nelle lane rosse e nei rotoli arabescati che li avvolgono, tanto da dire che erano loro le vere star della Fiera. Curiosando tra gli animali in mostra, la Putnam ascolta i discorsi dei venditori e ne coglie espressioni che le appaiono singolari; per esempio quando sente parlare di “cold fair”, fiera fredda. Molti di loro stanno all’in piedi facendo gruppo, silenziosi, rigidi, qualcuno abbottonato nel suo “scappulare” e addirittura incappucciato, parecchi con facce selvagge, scure e tirate per la fatica del viaggio: ma tutti dimostrano di avere una fibra più dura degli uomini di città. Tutto il piano della Fiera è un pullulare di ragazzi che vanno su e giù con recipienti pieni d’acqua, animali che bevono in grandi fontane, donne di ogni età che conducono mucche e prestano il loro aiuto al lavoro degli uomini. Particolare richiamo esercitano sulla scrittrice i colori dei numerosi dipinti che campeggiano un po’ ovunque su carri e legni, coperte e drappi e che ritraggono prevalentemente temi religiosi, la Madonna e i Santi (un San Giorgio in rosso che con una spada appuntita trafigge un verde drago), crocifissi e scene con anime del Paradiso, ma anche aquile, banditi, carabinieri. Ma non solo la Fiera susciterà il suo interesse: accuratamente guidata da troinesi (Silvestru and Aita), scoprirà i monumenti (la Cattedrale, la Chiesa di San Silvestro), le interessanti architetture delle vie principali (Corso Ruggero I) ma anche le strade strette (the narrow street) piene di carretti, rastrelli per spazzare, banchetti con falci e altri utensili e bracieri. Un paese vivo, nei giorni della Fiera, circondato da paesaggi che la Putnam giudica incantevoli: le montagne dei Nebrodi, l’Etna, la corona di paesi e la campagna a perdita d’occhio che si osserva da vari punti dell’abitato. Inoltre, nel suo soggiorno abbastanza lungo a Troina, alloggiata in una locanda che le avevano ironicamente assicurato le avrebbe offerto tutti gli “english confort”, verrà edotta sul rito antico della festa dei rami, che prontamente accosta al culto di Apollo a Delfi, su “the Cavalcata d’Addauru”, sulla recitazione delle Intrallazzate. Di queste, la scrittrice, ammirata, dice che vengono prodotte da poeti che non sanno scrivere e recitate da attori, paesani e contadini, che non sanno leggere. A distanza di ormai più di cento anni il testo su Troina della Putnam, all’interno del suo libro che ha per titolo By-Paths in Sicily (pubblicato in America, a New York da Dutton & Company) rimane un documento di interessante rilievo che parla di una Fiera che è stata un vanto dei troinesi, che attirava acquirenti e venditori da tutte le parti della Sicilia e non solo ( in gran numero venivano anche dalla Calabria) e che attesta la dimensione di grosso borgo agricolo che Troina aveva nel primo novecento, con una prospera zootecnia.
Altro tour degli anni ’20, fu quello dello scrittore, e Accademico di Francia, George Toudouze, che approdò in Sicilia nel ‘27 e raccontò nel suo libro ‘La Sicile, ile d’or, ile de fou’ (Berger e Levrault) di aver raggiunto Troina, dopo aver visitato Palermo ed Enna. Sostò a troina, per poi proseguire alla scoperta della parte orientale dell’isola.
Del paese, in quegli anni denso centro dell’interno dell’isola, gli piacque rintracciare le orme lasciate da quegli uomini del nord-europa protagonisti dell’epopea normanna, ma soprattutto cercò di rivivere lo stupore che di certo provarono di fronte all’Etna, che vista da Troina apparve loro come un gigante maestoso e temibile, capace di suscitare meraviglia, mista a candore ingenuo. Un ‘monstre’ che dista da Troina, calcola Toudouze, 8.000 passi a buona andatura.
Più o meno negli stessi anni, il pittore preraffaellita, Tom Mostyn, in giro per l’interno dell’isola, dipinse di Troina un suggestivo scorcio, là dove sorgono – ancora – i ruderi di un’antica Chiesa, detta della Catena, posta a valle del paese in uno scenario paesaggistico di rilievo. L’opera che Mostyn chiamerà “The Cave at Troina” è uno dei sui più famosi dipinti siciliani.
Nel secondo dopoguerra, in giro per il Sud-Italia, lo scrittore e teorico dell’espressionismo letterario, il tedesco Kasimir Edschmid, attratto dai luoghi arcaici e interni dell’isola, che visita in compagnia di un’amica, venendo da Randazzo e attraversando – scrive – desolate lande, popolate a tratti da nidi d’uccelli, cioè da paesotti con poche case e abitanti, intravede da lontano la silhouette di Troina, con le sue case in cima alle rupi e lucenti di un biancore e splendore che gli ricordano il muro della città di Gerusalemme. E così, infatti scrive Edschmid: “come la città della Palestina, Troina induce uno strano effetto, mite e belligerante allo stesso tempo, ha lo stesso splendore di lucido metallo come il muro che circonda Gerusalemme…..dà la stessa impressione di santità e brutalità che anche a Gerusalemme si avverte dalle steppe dei giudei’.
Osserva ancora Edschmid nel suo resoconto di viaggio, pubblicato da Stuttgarter Hausbucherei, con il titolo “Das Sudreich”, che verso Troina andavano non macchine ma carri trainati da cavalli, e i carri erano vivacemente dipinti con scene della storia normanna: sembrava che di tutte le vicissitudini del passato, che questi luoghi ricordavano, la gente avesse fatto tesoro e memoria solo di quel periodo dell’epica lotta dei normanni contro i saraceni.
Se ai troinesi l’età normanna ha ispirato l’arte non certo minore di dipinger carretti, a un grande studioso come Lord John Julius Norwich, la passione per quell’epoca e quegli avvenimenti e la voglia di scriverne gesta e accadimenti gli venne proprio dopo aver visitato l’isola e rimanendo estasiato dai resti e dai monumenti del periodo normanno in Sicilia. Anche di quelli di Troina, in particolare della Cattedrale, che visitò negli anni ’60.
Negli stessi anni un altro scrittore americano, giovane e alla ricerca del successo, viene in Sicilia, alla scoperta dei luoghi abitati e descritti da David Herbart Lawrence, nei suoi soggiorni a Taormina. E’ Paul Theroux, che, rievoca il suo viaggio siciliano, quaranta anni dopo, nel 2001, raccontandolo in un articolo dal titolo “At the villa Moro”, sulla rivista inglese Granta (numero 76): e ricordando che, diretto da Taormina a Caltanissetta, un guasto alla macchina lo fece fermare in una strada solitaria in prossimità di Troina: e, proprio al cospetto di un luogo che gli parve ameno e complice il silenzio e la vista di un paesaggio sereno e suggestivo, cominciò a riflettere sul senso del narrare, che, pensò, è quello di ‘ornare’ storie, variandole e ripetendole senza badare al confine fra verità e menzogna, e così avviene nell’arte come nella vita.
Pensieri di poetica, suscitò, allo scrittore inglese, il paesaggio attorno a Troina, che dovette apparirgli, quindi altamente suggestivo.
E sebbene sia mutato nel tempo, non c’è dubbio che quel paesaggio è ancora di gran richiamo per chi vuol goderne della vista, così come il paese che circonda e che circoscrive, Troina, è sempre meta piacevole e attraente per chi cerca, con curiosità, storie antiche e appassionanti.
Silvestro Livolsi