Notizie sulla viabilità extra-urbana presente nell’antico territorio di Troina

Una delle prime strade della Sicilia, realizzata sotto i Romani per scopi militari, fu una litoranea che andava da Messina a Lilibeo, la cosiddetta via Valeria; seguirono altre strade, la via Pompeia, da Messina a Siracusa e la via Selinuntina, che da Siracusa chiudeva con il Lilibeo.

In tutta la parte orientale della Sicilia, comunque, preesisteva un efficiente sistema viario molto antico e gli interventi dei Romani su tale viabilità furono, pertanto, molto contenuti ed a salvaguardia delle realtà esistenti.

Gli abitanti dell’Isola, soprattutto quelli dell’entroterra, continuarono a servirsi delle cosiddette trazzere, piste naturali condizionate dall’orografia e dall’idrografia, percorse soltanto a piedi o a cavallo e dove nessun uso poteva farsi del carro, lungo le quali avveniva la transumanza delle greggi e delle mandrie dalle aree montuose dell’entroterra ai pascoli delle pianure costiere e viceversa. Tale sistema viario fu mantenuto in efficienza successivamente anche dai Bizantini.

La trazzera, una forma intermedia tra sentiero e via campestre, deriva dal francese drecière = via diritta, cammino; destinata a strada rurale, poiché impiegata durante la transumanza sia per il transito degli animali e sia per la somministrazione del pascolo agli stessi, diviene nei secoli una sorta di combinazione tra servitù di passaggio e diritto di pascolo.

Gli stessi Musulmani, come si evince dalla descrizione di diversi itinerari, conoscevano una serie di percorsi che fungevano da collegamento da un abitato all’altro, ma non delle vere e proprie strade; importanti, perciò, i corsi d’acqua costituiti dai letti secchi delle fiumare, i quali fungevano da strade naturali.

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Panoramica di una strada rurale passante per il territorio di Troina

Le persone, le merci e le derrate si trasportavano sul basto dei muli ed una fila, variabile da tre ad otto muli, costituiva l’unità base del carico, detta comunemente retina, la quale veniva affidata ad un conduttore, il cosiddetto burdunaru. La retina, pertanto, permetteva di effettuare trasporti di una certa consistenza su percorsi anche accidentati; l’alternativa al mulo era costituita dalla lettiga.

Si riscontra, attraverso documenti d’archivio, che la viabilità presente nell’antico territorio di Troina, era costituita fin dal periodo medievale da una serie di trazzere, delle quali alcune indicate come regie, assieme a delle vie pubbliche. Per questo territorio, la via più importante era quella che da Termini giungeva a Taormina, passando per Castronovo, Petralia, Nicosia, quindi Troina e poi Randazzo, la cosiddetta via regia, citata nei diplomi normanni. Infatti, oltre alla realizzazione di una serie di fortificazioni, sono da attribuire al primo periodo normanno anche alcune strade con scopi militari e tale doveva essere quella menzionata nel diploma di Ruggero, redatto nel 1096, nel quale si fa cenno ad una magnam viam Francigenam Castrinovi, denominata pure viam Latinam Castrinovi, con ogni probabilità la stessa che da Palermo, come attesta un diploma del 1132, passava per Vicari, Castronovo e Petralia; continuava alla volta di Troina così come ricordato in un diploma greco del 1094, nel quale si fa menzione di una via regia che, valicante i monti nella zona di Sant’Elia d’Ambulà, parte settentrionale del territorio, ripigliava il suo corso lungo la costa tirrenica, poiché il medesimo nome di via regia ricompare presso Milazzo nel 1086 e presso Patti nel 1143. La stessa viene successivamente denominata da qualche erudito del XVIII secolo via francese. Il predicato di basilica, dal gr. basilikós = regia, imperiale, dato a quest’ultima strada in un diploma del 1094, la fa supporre con origini bizantine.

Nel 1294 si ritrova ancora una via regalis passante per l’abitato di Troina, nei pressi di contrada Sillemi, la quale corrisponderebbe all’attuale strada denominata Regia Trazzera Madonna della Via.

In effetti, la descrizione dei tracciati sopra menzionati corrisponderebbe a diverse trazzere, riportate ancora al giorno d’oggi nella cartografia catastale; infatti, se il tratto di strada che da Palermo conduce a Troina può essere identificato con una parte della Regia Trazzera Termini-Taormina, il tratto di via che continua per Patti non è altro che la Regia Trazzera San Fratello-Agira. Non solo; ancora nelle mappe catastali una strada che segue l’asse nord-sud dei Nebrodi è indicata come via che raggiunge la Basilica. Presente, quest’ultima, già in un diploma del 1094, poiché di origine bizantina, in base a quanto riferito dall’Amari, sarebbe quella stessa strada utilizzata dai Normanni per addentrarsi nel cuore dell’Isola.

Un’altra strada attestata nello stesso periodo, precisamente nel 1169, è la cosiddetta via Imilices, da correlare forse ad una strada passante per il casale Milgi; ed ancora, si fa menzione nel 1094 di una via regia che proveniente da Archara, l’attuale Alcara Li Fusi, continuava per Cerami.

Documenti successivi accennano ancora ad una serie di vie e trazzere passanti per il territorio e nei pressi dall’abitato di Troina; da quest’ultimo si dipartivano una serie di strade rurali che a loro volta si suddividevano ulteriormente per permettere di raggiungere feudi, casali e tenimenti. Dal XIV secolo in poi si ha notizia di una strada rurale che da Troina giungeva a San Mauro, un villaggio, forse casale, di cui oggi rimane solamente la presenza di una masseria ed il toponimo; dello stesso periodo è una via che conduce al casale Carbone, un’altra al casale San Teodoro, altra ancora al casale Buscemi.

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I resti di una giacata ancora presente in un tratto
della Regia Trazzera Madonna della Via

Vie pubbliche e regie servivano a delimitare anche il territorio di un casale o di un feudo. Era definita regia trazzera una via molto ampia che da un luogo abitato, costituente universitas, portava ad altro simile luogo, mentre era definita via pubblica quella che conduceva a mulini, paratori e fiumi, avente larghezza sufficiente al transito di due vetture da carico contrapposte. Pare, per esempio che, per l’esportazione del grano, la via da Troina ad Acquedolci fosse la più breve e la più agevole rispetto a quella che da Troina giungeva a Patti.

Poco sappiamo su quanto fossero larghe le trazzere medievali, la cui ampiezza si può desumere a posteriori dalle istruzioni o bandi del Settecento inviati a Licata, Troina, Capizzi e Mistretta, equivalente ad un massimo di 18 canne (circa 36 metri).

Dall’esame dei tracciati di queste antiche strade ci si trova in presenza di pendenze anche elevate che, nei casi limiti, la strada prendeva il nome di scala, definita come un sentiero ripido e tortuoso, la quale conduceva a volte ad un luogo ameno e panoramico, dove era presente una chiesa o un eremo (es. Santa Maria la Scala). Gli esempi di toponimi anche in questo territorio non mancano, quali Scala ‘i Lisu e Scalonazzo.

Un’ulteriore toponomastica legata alla viabilità è presente con vanedda, dal francese antico venelle = stradella, vicolo, viuzza, termine importato in epoca normanna, inteso anche per le strade extraurbane; da esempio è la cosiddetta Vanedda ‘a Muotti, un tratto di strada comunale passante per SottoBadia.

Con giacata si definisce, invece, una strada costituita da acciottolato o, in un periodo successivo, una strada pavimentata; più verosimile un tracciato viario lastricato con ciottoli. Strade di questo tipo, oltre alla Giacata per antonomasia, denominata oggi via Marino, si riscontrano in contrada Sotto Badia e Pirato.

Infine, l’unico esempio richiamato nella toponomastica per indicare un incrocio o un crocevia rimane località Serro della Croce.

L’assistenza a chi in questo periodo si metteva in viaggio veniva assicurata da una rete di fondachi o fondaci, dall’arabo funduq = deposito di merci, albergo, taverna, alberghi di bassa classe dove mercanti, pellegrini e bordonari, potevano trovare da dormire e da mangiare oltre che per loro stessi anche per le proprie bestie. Erano questi dei luoghi di ricovero e di ristoro per quei viaggiatori che percorrevano la Sicilia attraverso degli itinerari, lungo i quali ogni tappa era segnata da un fondaco, ubicato in aperta campagna ma che, negli anni, lo stesso poteva diventare il nucleo per un nuovo centro abitato.

In generale, il fondaco era costituito da un complesso di edifici nei quali primeggiavano per importanza la locanda, i magazzini e le stalle. Qualcuno era fornito di stanze sommariamente arredate al fine di poter alloggiare viaggiatori di un certo rango che non si accontentavano di dividere il proprio giaciglio con i muli; ed oltre al vino ed al companatico, come pure al foraggio per le bestie, alcune di queste strutture offrivano il servigio delle prostitute. La taverna annessa al fondaco, per tutto il Medioevo, costituisce un investimento legato ai ceti dirigenti; essa rappresenta il naturale luogo di incontro anche con i forestieri, il centro di comunicazione col mondo esterno, la sede ed il modello della cultura orale.

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Il caseggiato di contrada Borgo Nuovo
un tempo attestato anche come fondaco

Nel 1355 nella contrada denominata Scarilluso o Scarigghiusu, individuata nei pressi di Borgonuovo, lungo il corso del fiume Sopra Troina, è menzionato un fondaco diruto. I toponimi Scarigghiusu e Scarvi possono essere individuati nel dialetto scauru = scalo, luogo di sosta. Un altro fondaco era ubicato in contrada Ciappe, così come attestato nel 1375.

Nel 1575 esiste una domuncula al cosiddetto passo di Scarvi, la quale lascerebbe immaginare alla presenza già di un fondaco, denominato successivamente Fondaco di Scarvi, oltre al conosciuto fundaco del Ponte ubicato nei pressi del Ponte di Failla.

Nel territorio in questione, una buona parte dei fondachi, ormai fatiscenti o destinati ad altri usi, sono stati localizzati lungo la Regia Trazzera che da Nicosia conduce a Randazzo. Si annoverano, pertanto, località col nome di Fondaco, Fondachello e Fondacazzo. In particolare, il Fondachello era ubicato dove sorgeva l’antico casale San Teodoro, sulla sponda sinistra del fiume Sopra Troina e lungo la regia trazzera; in tale luogo erano presenti, oltre al già menzionato fondaco, un mulino ed una torre con feritoie per la difesa da eventuali aggressori.

Il Fondaco di Scarvi ed il Fondaco Lamela erano ubicati, invece, lungo la trazzera che da Troina conduceva a Paternò e, quindi, a Catania, le cui strade, in base a quanto riferito da un cronista dell’epoca, si presentavano aspre e inaccessibili.

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Un tratto della strada comunale che
da contrada Sotto Badia raggiunge il fiume di Radicone

La via regia, denominata ancora oggi nelle mappe catastali Regia Trazzera Grande di Palermo, che per via interna univa Palermo a Messina, vide nel corso dei secoli, oltre a personalità importanti, soprattutto gente comune, viandanti e pellegrini; ma anche mandrie e greggi in transumanza; retini di muli che permettevano il trasporto del frumento dai luoghi di produzione ai magazzini, ai mulini o ai caricatori. Vi transitò papa Urbano II nel viaggio che fece a Troina per raggiungere il conte Ruggero nell’aprile del 1088; il cronista Malaterra, riferendo sul matrimonio di Busilla, figlia del conte Ruggero, con il re d’Ungheria, precisa che la fanciulla ed il suo seguito vennero accompagnati, nel maggio del 1097, da Troina a Termini da una scorta di trecento soldati. Pare che da tale strada sia passato, nel 1282, Pietro d’Aragona, durante la Guerra del Vespro, recandosi da Nicosia a Randazzo, dove aveva convocato l’esercito dei Siciliani contro Carlo I d’Angiò; e sotto la condotta di Giovanni Celamida da Troina, la stessa via venne custodita nel tratto che va da Taormina a Messina. Inoltre si fa menzione del passaggio della regina Bianca di Navarra, vicaria del Regno, nella primavera del 1411; nonché dell’imperatore Carlo V che, reduce dalla spedizione di Tunisi, il 18 ottobre 1535, da Nicosia si trasferì a Troina per poi proseguire per Randazzo.

Un percorso seguito dal Medioevo fino a tutto il Settecento ed oltre, è quello dei corrieri del Regno di Sicilia, il quale da Palermo a Messina veniva effettuato in 4-5 giorni, a seconda che fosse estate o inverno, utilizzando sia la via della montagna (Termini, Polizzi, Nicosia, Troina, Randazzo, Francavilla, Taormina) sia la via della marina (Termini, Cefalù, Tusa, Baronia, Acquedolci, Brolo, Patti, Milazzo).

Il percorso più lungo era rappresentato da quello che, attraverso l’interno della Sicilia, collegava Palermo con Messina o Catania. L’itinerario partiva da Palermo, dalla cosiddetta Porta di Termini, costeggiava il mare fino a Termini Imerese per poi iniziare a penetrare nelle Madonie, passando da Caltavuturo; dopo aver attraversato le montagne passando da Petralia e Gangi, raggiungeva i Nebrodi, passando per Nicosia; da questo comune si poteva giungere rapidamente alla piana di Catania, oppure costeggiare l’Etna, passando per Troina, Bronte, Randazzo, Taormina e, quindi, arrivare fino a Messina. Tale percorso perdette la sua importanza quando, nel 1876, venne aperta la strada nazionale, alla quale si diede successivamente la denominazione di Strada Statale 120 “dell’Etna e delle Madonie”.

Gli stessi ponti, posti a cavallo di alcune delle fiumare più ampie ed, in genere, lungo le vie regie, furono realizzati per permettere l’attraversamento di animali da soma. L’ampliamento ed il restauro di questi si farebbe risalire nel momento in cui iniziarono ad essere copiose le esportazioni di grano verso i caricatori regi, poiché nel 1509, sotto il regno di Ferdinando il Cattolico, venne data disposizione di poter riparare i ponti esistenti e costruirne di nuovi; ma solo nel 1555, sotto Carlo V, si diede inizio ai lavori.

Tali strutture, oltre a possedere una stretta carreggiata, presentavano rampe ad elevata pendenza che rendevano quasi impossibile il passaggio dei carri; erano questi i cosiddetti ponti a “schiena d’asino”, opere che davano prestigio alle città di appartenenza.

 

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Il caratteristico acciottolato realizzato
sulla carreggiata del Ponte di Failla

Per Troina si menzionano in particolare due ponti, il primo posto sul fiume Sopra Troina, denominato Ponte di Troina, successivamente chiamato Ponte Grande o Ponte di Failla, documentato già sul finire del ‘200 dal nome della località nella quale è posto, contrada Pontis; il secondo, invece, ubicato sul torrente Sant’Elia, denominato successivamente Ponte di Sant’Angiledda, andato distrutto circa trentacinque anni or sono. Il primo si presenta ancora oggi a due luci disuguali con archi a tutto sesto e munito di parapetti; mentre il secondo, documentato da fonti scritte, si presentava sempre a due arcate, ma leggermente ogivate.

Altri attraversamenti da menzionare nell’ambito della trazzera presa in esame sono il Ponte di Cerami, posto lungo il fiume Cerami, la cui tipologia ad un solo arco ogivato, ricondurrebbe la sua presenza già al periodo medievale; questo ponte, ancora ben conservato, e del quale ne parla Cicerone nelle Verrine, veniva citato come magnifico ed antichissimo. Un’altra di queste strutture è il Ponte della Càntera, la cui etimologia deriva dall’ar. qantarah = ponte, posto a cavallo del Simeto in territorio di Bronte. Ruggero II, nel 1121, al fine di mettere in comunicazione gli abitanti dei casalia e delle massae posti lungo le sponde del fiume Simeto, e permettere così il proseguimento della via regia, fece costruire tale ponte dedicandolo alla memoria della madre Adelasia, morta qualche anno prima, nel 1118. Una leggenda narra che alla realizzazione di questo ponte furono addetti operai Saraceni e che uno di questi, piantatosi con le gambe sulle due rive opposte del fiume, avrebbe indicato il sito dove la struttura sarebbe sorta.

Fra i ponti che ricorrono nella toponomastica più recente si annovera il cosiddetto Ponte di Cannori, attestato nel 1714, ed il Ponte Borgo Nuovo; località Punticieddu indica la presenza di un piccolo ponte, un pontile, utilizzato per permettere il passaggio dell’acqua, da una sponda all’altra di un vallone, per usi irrigui.

Un altro ponte denominato della Placa fu rifatto nel punto dove passa il fiume Sopra Troina, nell’anno 1769; pur essendo antico, si sconosce quando venne realizzato. Si fa menzione, inoltre, del Ponte della Cuntata, tra Castiglione e Troina, posto su uno dei bracci del Simeto, ad un arco, menzionato dal Villabianca come diruto sul finire del XVIII e del Ponte di Carcaci, chiamato pure di Adernò, ad un arco. Il Ponte dei Saraceni, a diverse arcate disuguali, posto sul fiume Simeto, è attestato già nel 1158. Infine, si menziona il Ponte del Fiume Piccolo in territorio di Gagliano.

Dei 103 ponti presenti in Sicilia nel XVIII secolo, quasi tutti di impianto medievale, solamente 11 saranno restaurati a cura della Deputazione del Regno; di questi, vista la loro importanza, vi rientrarono i due ponti di Troina, restaurati nel 1701 e nel 1737.

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Ponte di Failla: veduta delle due arcate disuguali

 

Nicola Schillaci 

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