‘U pagghiaru ed il culto per il santo Eremita Africano

Cade domani, 17 gennaio, la memoria liturgica di Sant’Antonio, l’abate nato a metà del III secolo e vissuto nell’attuale Egitto, che donò tutti i suoi beni e scelse di vivere da anacoreta, preferendo la contemplazione e la preghiera in eremitaggio agli averi che i genitori gli lasciarono. Il culto del Santo nordafricano si diffuse rapidamente in tutto il mondo cristiano, tanto da ergerlo a padre fondatore del monachesimo eremita, lontano dal mondo e dedito ad una vita alternativa alla società ed alle brutture dell’uomo. Personaggio austero, secondo le agiografie tramandataci da sant’Atanasio e da san Girolamo, fu d’esempio agli uomini del suo tempo: sia semplici pellegrini, che personaggi del rango imperiale, come Costantino ed i suoi figli.

 

La fama dell’Eremita, naturalmente, travalicò gli anni dei suoi secoli e, come quasi tutti i primi culti dei santi cristiani, grazie alle agiografie, ai miti e alle tradizioni orali, si diffuse in tutto il mondo recentemente cristianizzato, andando anch’esso ad assorbire, smembrare, e fare proprie le usanze, i simboli ed i costumi dei culti pagani. Nel caso in oggetto, un esempio dei tanti che potremmo fare riguarda il maiale con la campanella che accompagna il santo nella classica iconografia. Il maiale era l’animale sacro alla Dea Cerere/Demetra, divinità della fertilità e delle messi, o al dio celtico Lug. Quando il culto giunse in Francia, dove furono trasferite le reliquie del santo, i celti convertiti attribuirono il suino ad Antonio. I vescovi francesi, nell’intento di demonizzare la simbologia del passato, identificarono nell’animale il demone sottomesso al Santo. Un’altra versione narra di un maialino guarito dallo stesso che per gratitudine gli fu sempre al seguito. Altra versione ancora, narra dei maiali allevati da chi gestiva e case ospedaliere degli antoniani, come unico animale domestico consentito a seguito di pestilenze. Da qui il patronato per gli animali addomesticati.

 

Una tradizione molto sentita in tutta l’Italia meridionale e insulare, Irpinia, Salento, Sardegna e Sicilia è quella dei falò, i “pagghiara”. Accesi nella vigilia del dies natalis di Antonio. Secondo le antiche tradizioni pagane, il fuoco rappresenta l’elemento purificatore, da malanni, pestilenze o altro, cosi come viatico per il passaggio dal vecchio al nuovo: non a caso si accendevano in prossimità del nuovo anno, al fine di bruciare simbolicamente il passato, lasciandosi alle spalle il vecchio. Si usava la cenere come oggetto apotropaico, per il buon auspicio. Tutto ciò si può legare al culto di Antonio Abate per vari motivi: il primo è riconducibile al calendario, in quanto proprio a metà gennaio, con l’allungarsi delle ore di sole si iniziava a percepire il risveglio della natura, e quindi l’inizio del nuovo anno, per cui i convertiti continuavano a rimanere legati alle precedenti tradizioni religiose. Un secondo motivo è legato ai racconti agiografici ed ai miracoli attribuiti all’eremita: al Santo si attribuisce il potere guaritore al cosiddetto Fuoco di Sant’Antonio, l’herpes zoster; ed il potere esercitato in vita di sottrarre anime al fuoco dell’inferno, ed aver ridato il fuoco agli uomini, nascondendo alla vista del diavolo una scintilla in un tronco di ferula (una versione di questo miracolo ci è riportata da Italo Calvino nella raccolta “Fiabe Italiane”).

 

Con molta probabilità, la diffusione del culto antoniano dalle nostre parti, lo si deve ai padri basiliani, che nel basso medioevo gestivano innumerevoli possedimenti e monasteri, cinque solo nell’allora territorio troinese. Alla stessa maniera, anche gli altri ordini monastici favorirono la propagazione del culto. Antonio era poi il santo che proteggeva, come già detto, gli animali da allevamento, a cui quindi, in una società dove una cospicua parte della popolazione era dedita alla pastorizia rappresentava uno dei principali santi a cui appellarsi in caso di necessità. A dare molto vigore alla figura del Santo, a riscoprirne i caratteri sia religiosi che folkloristici delle festa, è stata la confraternita locale del Santo: fondata nel 1946 da esclusi da quella di San Sebastiano, è la più giovane fra tutte quelle troinesi. Dalla chiesa di Santa Caterina, dove ha sede, ha da sempre valorizzato al meglio la figura del santo, il suo culto, ed i suoi festeggiamenti. Ha soprattutto dato nuovo vigore alle tradizioni, che in altri contesti purtroppo sono andati perduti.

 

Fra queste tradizioni, rientrano appunto i Falò, “i pagghiara” in siciliano. Etimologia che riporta a cumuli di paglia. Per l’appunto cumuli legna, accantonata per tempo, che nella sera della vigilia, il 16 gennaio si accendono in ogni quartiere. Occasione di socializzazione, fratellanza ed amicizia, momento conviviale, a cui la confraternita dà il proprio contributo distribuendo vino e biscotti.

Per motivi di spazio e tempo, e per non annoiare il lettore, non si è argomentato in maniera esaustiva, ma per i più curiosi segnaliamo un opuscolo più approfondito, con i contributi degli studiosi Silvestro Messina, Basilio Arona e Francesco Cantale, edito dalla Confraternita troinese nell’anno 2006: “Il culto di Sant’Antonio Abate in Sicilia e a Troina – Storia, Tradizione e Folklore”.

 

Fabio Salinaro/ archivio

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